Veltroni riscopre il rigore. Contro Anzolin

Sperava di passare alla storia ma sta per entrare nella cronaca. Veltroni Walter, presente. È il suo sogno di sempre, la fantasia del bambino che giocava con la falce e il martello, le biglie colorate e le figurine Panini. Finalmente è arrivato il giorno. Eccolo, un uomo solo e non più al comando, undici metri lo separano dalla gioia, dall’evento, dal mito. Di fronte a lui non c’è Silvio Berlusconi. Nemmeno Massimo D’Alema. In crisi il Franceschini che si prepara a essere sostituito dal panchinaro Bersani. No, davanti a lui c’è Roberto Anzolin, di anni settantuno, estremo difensore si scriveva una volta, ex portiere del Palermo, della Juventus e dell’Atalanta, nessuna tessera di partito, molte partite alle spalle.
Veltroni Walter sta per realizzare il sogno, inseguito per tutta una vita, tra una primaria e l’altra, in attesa di trasferirsi in Africa, laddove potrebbe ripetere il gesto con il mito N’Kono. È pronto all’esibizione, calcerà di destro, anche se Moretti ha chiesto a lui, e agli altri compagni, di dire e di fare qualcosa di sinistra.
Passano gli anni, passano anche i comunisti, ex, contemporanei, attuali, nostalgici, rivisti e corretti. «Il nostro proposito è che la più ferma difesa della convivenza democratica si accompagni, finalmente, al rigore... Il rigore è una scelta nostra, come lo è l’austerità: è la leva per cambiare le cose e non soltanto per impedire il collasso» Questo pensava, diceva e scriveva Enrico Berlinguer, il diciannove di marzo del millenovecentosettantotto, sotto il titolo Unità e Rigore. Un altro tipo di rigore, dunque, meno spettacolare e agonistico. Dall’etica si passa alla tattica, dal collasso al gollasso.
Non si può avere tutto dalla vita, Veltroni è un tifoso juventino part time, quando era sindaco a Roma si affacciava al balcone, o si manifestava in pubblico, avvolto da sciarpa giallorosa o, in altri siti, biancazzurra, gli elettori sono piezz’e core, il bianconero stava nascosto in armadio, accanto alle figurine di Sivori e Boniperti.
Esaurito il mandato, l’album e le bandiere sono state spolverate, il tifoso è tornato a casa, la Juventus dunque e i ricordi di infanzia, Anzolin, quello che parò un rigore a Cervato ma quando era portiere del Palermo e il centromediano (così si diceva quando si giocava in undici) scaricò inutilmente un tiro dei suoi. John Charles lo chiamava Anzolino, indossava la maglietta nera e spesso veniva spazzato nelle uscite dagli avversari rudi e potenti più di lui che, al primo anno torinese, per cinquanta volte fu costretto a raccogliere il pallone in fondo alla rete e la Juve si piazzò quart’ultima. Vennero giorni migliori «Anzolin come Zamora» «Anzolin come Jashin» titolarono i quotidiani dopo la vittoria juventina sul Real al Bernabeu. Non immaginava, Anzolino, che, dopo il gigante di Swansea che parlava come Oliver Hardy, un giorno si sarebbe trovato di fronte n’amerecano de Roma che dice «I care».

Non è un film, non è uno spot pubblicitario, è tutta roba vera, bella fresca del politico che non fa più notizia se non dagli undici metri. Enrico Berlinguer voleva risanare lo Stato ferito a morte dal terrore brigatista, per questo si batteva a pugno chiuso. Veltroni si limita a calciare un rigore. Sperando che il portiere non metta i pugni. Che tempi.

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