da Roma
Soave nella forma, perché vuole tenersi distante dalle «polemiche personali» di D’Alema, ma duro nella sostanza, Veltroni scende in campo, con un’intervista a Repubblica pubblicamente applaudita da Forza Italia («Coerente e coraggiosa», dice Bondi). E detta le sue condizioni.
Il sistema tedesco, stavolta lo dice chiaro, non passerà. D’Alema lo invoca, Rutelli lo reclama, Casini lo brama, il Prc ne è tentato, ma per il leader del Pd non se ne parla neppure. Innanzitutto perché è una balla ripetere che sia l’unico punto di consenso possibile, come fa il ministro degli Esteri: «Un accordo allo stato non c’è: non lo vogliono Fi e An, e non lo vogliono i partiti minori», spiega il sindaco. Ergo, «non creiamo un’aspettativa alla quale non corrispondono risultati reali».
E poi Veltroni spiega perché c’è chi spinge per il tedesco, e la spiegazione è pesante come un macigno: «Forse chi vuole quel sistema ha in testa un’altra idea: la Grande coalizione. Ma se è così, sappia che questo non è il progetto del Pd». Pan per focaccia, con tutto il savoir faire veltroniano: D’Alema getta su di lui il sospetto di cercare l’«inciucio» per far cadere Prodi? E lui risponde: attenti, perché chi sogna di essere il vero interlocutore di Berlusconi, dopo un voto «tedesco» che porterebbe a sicura sconfitta il centrosinistra, è proprio lui, Massimo. Che, come ha più volte ripetuto ai suoi il sindaco, «ha sempre in testa quello stesso schema di accordo Dc-Pci», magari con Berlusconi nei panni della Balena bianca.
Una lettura, quella del leader Pd, che trova in sintonia Parisi: così si spiega la grande apertura di credito che ieri il ministro della Difesa ha fatto a Veltroni. «Questa volta ha scelto», dice, «e non possiamo che essere al suo fianco». Perché, spiega, «da una parte c’è il sistema tedesco», dall’altra «il bipolarismo»; «da una parte sta la democrazia della decisione che riconosce ai cittadini la scelta del governo», dall’altra «la democrazia della delega che riaffida ai professionisti il compito di tessere e disfare ogni giorno la tela della politica». E la scelta della parola «professionisti» la dice lunga su chi sia nel mirino di Parisi: D’Alema, appunto. Che, come ha spiegato il ministro a chi tra i suoi si stupiva degli elogi a Veltroni dopo tante critiche, «ha in testa un’idea assolutamente legittima, quella di tornare ad un modello di partito grande, forte e radicato», sul modello del vecchio Pci e della vecchia Dc, che certo il tedesco garantirebbe. Peccato però che porterebbe anche «all’ingovernabilità», e alle «maggioranze che si alternano in Parlamento e non nelle urne». Dunque il no secco di Veltroni al tedesco piace a Parisi e ai suoi. Anche perché il ministro è convinto che della bozza Bianco non si farà nulla, che l’accordo Pd-Forza Italia non sarà mai siglato perché non ce ne sono le condizioni. E che dunque si andrà dritti al referendum, e poi «si aprirà un’altra partita». Quale, è difficile a dirsi, ma i parisiani sono convinti che il governo comunque reggerà (anzi il referendum «è la sua assicurazione sulla vita») e che Prodi, in questo momento, sia l’unico che gode tra i litiganti del Pd: perché «più aumenta il caos e più il governo resta l’unico punto fermo».
Lo scenario che piace a Parisi, però, è quello che terrorizza Rifondazione. Bertinotti vuole a tutti i costi arrivare all’accordo con Veltroni e Berlusconi. Ma sa che il sindaco, anche nell’intervista di ieri, gli pone condizioni capestro nella speranza che il timore del referendum lo spinga a cedere: la scheda unica per uninominale e proporzionale, la ripartizione regionale dei seggi, il «piccolo» premio al primo partito: tutte regole che finirebbero per bipartitizzare drasticamente il sistema, togliendo voti a tutti tranne Pd e Fi. E così il Prc da un lato tende la mano («Apprezziamo la riapertura del dialogo», dice il fedelissimo di Bertinotti Migliore) dall’altra dà l’altolà con Russo Spena: «Il Pd gioca col fuoco».
Tutt’attorno i piccoli dell’Unione si agitano e chiedono a Prodi di convocare un vertice, accusando il Pd, con le sue divisioni, di mettere a rischio tutto il quadro politico. Prodi temporeggia: il vertice, se mai, si farà dopo il verdetto della Consulta sul referendum. In attesa di vedere come finirà il grande match, forse definitivo, tra Veltroni e D’Alema.
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