Roma - Continua la discesa delle vendite nel commercio al dettaglio. Dopo il -2,8% del secondo trimestre, Unioncamere registra un -3,3% nel terzo. Secondo l’indagine congiunturale effettuata dal Centro studi Unioncamere sulle piccole e medie imprese italiane del settore commercio, a soffrire sono soprattutto le imprese minori: il 44% di quelle con 1-19 dipendenti registrano riduzioni delle vendite che, per l’intera fascia dimensionale, si contraggono del 5% rispetto allo stesso periodo del 2007.
Anche per le imprese più grandi, che pure avevano retto all’urto della flessione dei consumi fino a giugno scorso, il trimestre si è concluso con il segno meno (-0,4%). Forte l’impatto della crisi soprattutto sulle aziende del Sud, che tra luglio e settembre hanno segnalato un -7,7% delle vendite. Nelle altre ripartizioni geografiche la flessione del fatturato appare più contenuta, oscillando tra il -1,8% del Centro e il -1,5% del Nord.
Le famiglie tagliano le spese a partire dai beni non alimentari, che registrano un calo delle vendite del 4,8% mentre la flessione dell’alimentare si attesta sul -1,6%. Per l’ultima parte dell’anno le imprese commerciali sperano in una schiarita motivata anche da ragioni stagionali: più ottimiste quelle con più di 50 dipendenti, mentre prevale ancora il pessimismo fra quelle piccole e del Mezzogiorno.
Dal 1970 a oggi è aumentata del 52% la quota di spesa per affitti e spese obbligate sul totale dei consumi di una famiglia. Si comprano meno beni e, tra i servizi, prevalgono quelli obbligati. In crescita la quota di spesa per tempo libero-vacanze-mobilità, in diminuzione quella per cura del sè-abitazione-pasti in casa e fuori casa. È quanto emerge da un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio secondo cui «i modelli di consumo nel nostro paese sono cambiati radicalmente nel corso degli ultimi 30 anni».
Per la Confcommercio i consumi «sono oggi più complessi, e anche confusi. Fino agli anni settanta - spiega lo studio - si poteva individuare una struttura prevalente dei consumi che procedeva in una certa direzione con lo sviluppo della fascia di reddito. Si consolidava una piramide dei consumi che aveva alla base le spese fondamentali e in cima i cosiddetti consumi di lusso. Ma lo sviluppo del reddito negli anni settanta e ottanta, il successivo processo di accumulazione di ricchezza liquida o immobiliare, la diffusione del credito al consumo e, soprattutto, per gli anni che vanno dal 1990 a oggi, la stagnazione della crescita e l’espansione delle spese obbligate - affitti, mutui, luce, acqua, gas, carburanti, spese bancarie e assicurative - hanno rimescolato profondamente gli scenari microeconomici». Con il risultato che, se negli anni ’70 una famiglia aveva una quota di spesa per affitti e spese obbligatorie pari al 24,7% del totale dei suoi consumi, nel triennio 2007-09 questa quota arriva a quasi il 40%.
Tende anche a diminuire la quota di spesa per cura del sè, abitazione e pasti in casa e fuori
casa: dal 75% circa degli anni ’90 si riduce a poco più del 70% nel triennio 2007-2009. Cresce invece la quota di tempo libero, vacanze e mobilità portandosi dal 25% circa degli anni ’90 a quasi il 30% nel triennio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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