Da Grande Comunicatore a scomunicato dal web, processato in diretta, anzi on line, proprio sull’informazione. Lui, Nichi Vendola, lo direbbe di certo meglio, magari con un anacoluto, un artificio a effetto o un poetare magniloquente, robe così. Ma insomma questo è per noi mortali della comunicazione: il troppo stroppia e tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. La zampa di Nikita s’è impigliata nelle sue stesse parole. «Ma parla come magni», gli rinfaccia adesso quella stessa Rete che lui ebbe a definire «un enorme propulsore di messaggi di pace e di libertà, sempre più un vero e proprio luogo del possibile».
Ecco. Quel luogo di libertà che in principio lo osannò, adesso è di lui che si vuole liberare. Rinfacciandogli proprio quel suo filosofare ingombrante, ormai simbolo di una sinistra che una volta riempiva le piazze di carne e ossa e adesso svuota persino quelle virtuali.
Il processo si è compiuto l’altra sera sulla pagina Facebook di Nichi. Lui ha tentato, una volta ancora, di arringare la folla, con un post contro le nomine Rai, Maccari al Tg1 e Casarin al Tgr: «Sono senza parole. Quello che si è consumato in Cda è uno scandalo lungamente preparato ed annunciato. Il servizio pubblico dell’informazione ancora una volta è umiliato dalla protervia di un potere politico volgare e dozzinalmente padronale. Non si può tacere, non si può rimanere inerti, nelle istituzioni e nel Paese. L’opposizione si muova, il governo da parte sua non ha nulla da dire?».
Se è vero che la Rete dà voce al popolo, il popolo urlava: «Vendola è senza parole ma nessuno si muove, in fondo fanno troppo gola i soldini per ribellarsi al sistema mafioso che avete costruito» lo ha attaccato Roberto Cardelli; «Ma quale opposizione, se vuoi stare con Pd e Udc, vergognati!» ha infierito Adalberto Alquati; «Nichi abbandona la retorica e riabbraccia la lotta politica e di idee» ha suggerito Enrico Crocerossa; «Ma ci stai prendendo per i fondelli? Ma se siete tutti d’accordo!» ha puntato il dito Danio Cioni; «E voi cosa proponete? Non si può contestare senza proporre» l’ha rimproverato Riccardo Brughera. Fino ad Alessandra Di Benedetto, impietosa: «Ma parla come magni». Gli rimproverano tutto. L’occhiolino che Sel strizza all’Udc, una volta sapeva di nuovi scenari, ora puzza di inciucio; l’opposizione che sarebbe meglio un bel tacere, se poi nei fatti non ne azzecca una; quel surplus di domande poste a chi governa senza mai proporre una risposta fattibile.
E così ecco la parabola del governatore della Puglia. In principio fu il «Grande Comunicatore». Un Berlusconi di sinistra, come lo definì il Tempo agli esordi. Che però, a furia di voli pindarici, si è bruciato prima di vedere il sole di Palazzo Chigi. Piaceva Nichi. Di più, in una politica di litigiosi pronti persino alle mani in Parlamento, faceva sognare, o almeno sperare. Il programma elettorale per lui era una «narrazione collettiva». Le primarie anche meglio: «Una spinta di vita che immette un alito profumato nel centrosinistra che dice parole che sono in sintonia con la società».
La democrazia «un Parlamento che non si chiuda nel proprio cuore di tenebra».
Poi è successo qualcosa. È successo che, banalmente, Nichi ha esagerato. Da Grande Comunicatore a zimbello. Sul sito del Foglio c’è pure un blog, quello di Claudio Cerasa, che gli dedica una rubrica fissa, si intitola «Nichi ma che stai a dì?» ed è una raccolta quotidiana delle sue frasi «più folgoranti». C’è da ridere. Le primarie? «Sono come il bambino che si porta all’orecchio la conchiglia per ascoltare il rumore del mare: sono il rumore della vita». Olé. Il centrosinistra? «Deve riprendere in mano la questione morale con una capacità di autobonifica sconosciuta all’innocentismo “a prescindere” della destra». Eh? «Perché porto l’orecchino? Mi piaceva l’idea di firmare il mio corpo, inserire una micro-mutazione nella mia corporeità». Boh. Un crescendo.
Al Fatto che gli domandava come interpretasse il voto alle amministrative, lui ha risposto: «È stato l’increspatura del mare che si fa onda». Intervistato dal Tg3 su centrosinistra e dintorni, ha lanciato un non meglio precisato «patto con le nuove generazioni e con il mondo dell’indignazione». Interpellato a proposito del suo rapporto con il Vaticano, ha messo lì un ostico: «Il paganesimo è la nostalgia di un divino non ossificato nelle metafore del potere maschile».
È
troppo dai, soprattutto in tempi di quarta settimana senza pagnotta, di forconi e governi tecnici e lacrime e sangue. Lui la direbbe con una citazione colta: «Primum vivere, deinde philosophari». Forse Aristotele va riletto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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