Il Veneto che si arrangia? E' un esempio da invidiare

Bè, non è proprio così come l'ha vista il nostro «polentone ba­g­nato appena uscito dalla fanghi­glia », però quel che ne conclude è vero. Sono vere le virtù civili dei veneti, gente usa a darsi da fare senza abbandonarsi a quelle «li­tanie morbose» cui il «polento­ne » fa cenno (ma anche senza menarla rinfacciando al Paese, ai «terroni» in particolare, la fatica, l'olio di gomito, il fango, il disa­gio, l'assenza di vedove in lacri­me e di strepitii di folla. Il veneto, per tradizione, sgoba e tase). Sap­piamo tutti come reagisce il così detto nord-est alle catastrofi na­turali, alle maledizioni della natu­ra. Meglio di altri connazionali, certo con più dignità, meno paro­le e più fatti (più fatica, cioè). Ma è evidente che i loro meriti, quelli dei veneti, intendo, non possono essere ritenuti tali per la presen­za di un demerito altrui. Non pos­sono e non devono. Però è vero quel che scrive Matteo Mion: dei seri, serissimi, tragici guai provo­cati dallo straripamento del Bac­chiglione, del Timonchio e degli altri corsi d'acqua la società poli­tica e quella civile, in sostanza il Paese, ha reagito con indifferen­za. Non dedicandogli nemmeno un'unghia dell'attenzione riser­vata, invece, alle confidenze di Ruby o alla ciclica questione del­la «monnezza» napoletana. Il «tanto i veneti sono abituati a ca­varsela da soli», che sotto sotto ha ispirato il disinteresse genera­le, suona irriverente, diciamo pu­re offensivo. E consolida l'opinio­ne, già di per sé dominante, che per ottenere qualcosa, magari so­l­o la solidarietà che non costa nul­la, in Italia occorre urlare, piange­re, salire sui tetti, incendiare i cas­sonetti, inscenare fiaccolate. E se c'è una faccenda che esula dal temperamento dei veneti è pro­prio la rappresentazione sceni­ca, fracassona e pittoresca della richiesta di bisogno. O del dolo­re. O del sacrificio. Tutto vero, dunque, però va ag­g­iunto che in situazioni dramma­tiche i veneti non sono mai stati lasciati soli. La macchina degli aiuti sotto forma sopra tutto di «sghei», soldi, è già in moto. Ma senza fanfare, riservate, queste, a chi per ottenerli batte la grancas­sa. Altra differenza è che lassù, tra Vicenza, Padova e Verona, non si sta sull'uscio in attesa che la Protezione civile o gli alpini si mettano a spalare fango e a rad­drizzar muri. E qui, mi costa dirlo ma bisogna pur venire finalmen­te al confronto, occorre aggiunge­re che vedendo i sacchi della spazzatura che si accumulano, marcendo, sui marciapiedi, an­che in quel caso i «polentoni» non starebbero con le mani in mano aspettando, per poi maz­ziarlo, San Bertolaso. Ma dirsi per questo «diversamente italia­ni », no, mi par troppa e spocchio­setta grazia.

Italiani da invidiare e da voler imitare, questo sì, spe­cie se poi i conti comunque torna­no, con l'interesse dell'orgoglio d'averci messo del proprio, sen­za l'accompagnamento del bai­lamme, dei piagnistei e dei «For­za munnezza!».

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