Cronache

Venier toglie la Camera a Devoto Sabina Rossa scalzata dai Verdi

Ferruccio Repetti Uno scherzo mica da niente: «Vengo anch'io, in parlamento», «No, tu no». «Ma perché?», «Perché no». Uno ci mette su il cuore, pensa di aver appeso il cappello - 15mila euro al mese, oltre rimborsi e indennità varie, lavatura, stiratura, e pensione assicurata -, magari pensa che da domani potrà farsi chiamare «eccellenza», e invece... Ecco lì che ti sbattono fuori di brutto: «No, guardi, lei a Montecitorio o a Palazzo Madama non ci va più. Ci va un altro. Grazie e tanti saluti». In Liguria sta succedendo più o meno così, a proposito di Sabina Rossa che doveva essere il terzo senatore diessino dopo Graziano Mazzarello e Andrea Ranieri, e aveva già rilasciato interviste sui programmi di legislatura. Poi si sveglia Marco Boato, deputato dei Verdi, che dice: «Alla Rosa nel Pugno spettano 3 seggi al Senato, uno dei quali conquistato in Liguria dalla lista “Insieme per l'Unione“ a scapito del seggio erroneamente attribuito ai Ds». Secondo Boato, che ha seguito tutto l'iter della «pessima legge elettorale che ci ritroviamo», non ci sarebbe nemmeno bisogno di ricorsi: «Non è un problema di interpretazione, ma di corretta applicazione della legge». E spiega: «Stiamo parlando delle regioni in cui nessuna delle due coalizioni ha raggiunto il 55 per cento. E in questi casi è scritto esplicitamente che la condizione per avere il premio di maggioranza è che almeno una delle liste della coalizione abbia raggiunto il 3 per cento». Dunque, conclude Boato, «anche le liste che non abbiano superato il 3 per cento devono concorrere all'assegnazione dei seggi». Secondo questa interpretazione, al posto di Sabina Rossa diventerebbe «sen.» Gabriella Badano, rappresentante di Verdi, cossuttiani e consumatori. Caso analogo di illusione seguita da delusione quello di Giorgio Luigi Devoto, segretario provinciale dei Comunisti italiani che aveva già fatto la valigia per la Camera, confidando, come quarto in lista, sulle scelte per altri lidi di Oliviero Diliberto, Katia Bellillo e Iacopo Venier. Ieri la doccia fredda: la direzione nazionale del Pdci ha deciso che il seggio conquistato in Liguria venga occupato da Venier, responsabile esteri del partito. Devoto può accomodarsi. Al prossimo turno. Promette un generale rimescolamento di carte (e probabilmente anche di visceri) l’ex magistrato Antonio Di Pietro, che annuncia battaglia: «Abbiamo depositato anche noi i ricorsi - conferma - in quasi tutte le corti di appello, come la Rosa nel Pugno». E minaccia, come se avesse reindossato la toga di Tangentopoli: «Io temo che darci torto sia più semplice che darci ragione, perché le ragioni portano anche a situazioni che minacciano il quieto vivere». A protestare non sono solo i politici: si fanno sentire anche i comuni cittadini, come la signora Paola Piceno Soprani che - rivela la sorella Maria - ha spedito un esposto alla prefettura di Imperia e al Viminale (e per conoscenza a Silvio Berlusconi e Emilio Fede) «affinché sappiano delle truffe». In qualche modo l’incertezza dello scrutinio deve aver giocato brutti scherzi anche ai comunicatori per eccellenza (?), cioè ai giornalisti: ieri è apparso sulle pagine del quotidiano Lavoro-Repubblica l’esito della verifica delle schede contestate effettuata dalla Corte d’Appello. Risultato: 4 in meno al centrodestra, due in meno al centrosinistra. La verità è esattamente al contrario. Ma a questo punto si può capire: nessuno può più giurare su niente.

A partire dalla qualità della mortadella.

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