Cultura e Spettacoli

«Vent’anni di Blob? È l’unico film che potrei girare»

Enrico Ghezzi, inossidabile sotto forma di «Blob».
«Vent’anni esatti di programma».
Come nacque?
«In modo casuale. Anche se la possibilità di una cosa del genere mi ossessionava fin dal primo giorno in Rai, ipotesi inevitabile e insieme impossibile».
Perché impossibile?
«Per i problemi di diritti, le immagini delle altre reti. Oggi nessuno farebbe partire un programma del genere. Angelo Guglielmi fu l’unico pazzo che poteva dare il via libera».
Era il 17 aprile 1989.
«Primo giorno di occupazione di Tienanmen da parte degli studenti di Pechino... Fummo i soli o i primi a sfruttare in modo anarchico il far west televisivo alegale di quegli anni. Che serviva a tutti, oltre che a Craxi e Berlusconi. E la nostra stessa libertà piratesca servì ed è servita fin quasi a oggi a tutti i soggetti televisivi».
Anche a Mediaset?
«Certo. I programmi dell’amico Ricci usarono a loro volta disinvoltamente i materiali della concorrenza Rai».
Torniamo indietro.
«Vinsi il concorso per Rai 3 nel ’78 a Genova, la prima cosa che proposi a Bagnasco (direttore dei programmi regionali liguri, ndr) fu una sorta di montaggio di materiali di cinema e di tv. L’obiezione che mi fece, naturale, era quella dei diritti. E non si fece nulla. Poi dopo dieci anni arriva Guglielmi e io proposi Schegge, a suturare e insieme a allargare e piccoli buchi del palinsesto, c’era di tutto: cinema, tv».
Cosa c’era prima di «Blob» in quella fascia di Raitre?
«Un altro mio programma, Vent’anni prima. Riproponevamo i tg di venti anni prima. Pura fantascienza. Dopo un anno di questa cosa Guglielmi mi chiamò: pensava a qualcosa come il mattinale del Manifesto, una selezione di news».
E lei?
«Rimasi un po’ freddo, le news erano già la cosa più ripetuta in tv. Proposi di farlo allora su tutta la tv quale infotainment globale e lui ci lasciò fare. Cominciammo usando solo materiali Rai. Dopo 2 numeri zero mi accorsi che era come una lingua senza una parte dell’alfabeto».
I video dalle altre reti.
«Senza gli spezzoni di Mediaset non aveva senso. Dissi a Guglielmi: “perché non proviamo?”».
E lui?
«Disse sì, “al massimo ce lo chiudono”».
Invece andò alla grande.
«Ci furono subito diverse recensioni entusiaste, ricordo quella di Beniamino Placido. Blob sfondava una porta aperta».
Partì anche la gara a finire su «Blob».
«In qualche modo c’è ancora. All’inizio il gioco era quello del peggio-meglio. Ma in tv tutto è eccessivo, soprattutto la medietà».
Come lavorate?
«Una dozzina di persone. Due montano, poi ci sono tre visionatori che fanno le segnalazioni. Ma chiunque può segnalare le cose».
Qualche personaggio che si autosegnala?
«Molti. Ma è più interessante pensare a come Blob abbia spostato e incrociato pubblici e personaggi. Prendiamo Funari, che a quell’epoca andava nel primo pomeriggio, con Blob si trovò in prima serata. E non è il solo».
Dicevamo che lei entra in Rai nel ’78.
«Vinsi un concorso per programmista regista, con un tema su Rossellini e la tv. Nemmeno lo finii tanto ero scatenato».
E che faceva alla Rai di Genova?
«Di tutto, radio, montaggi folli. Poi facevo la regia dei tg regionali e dei collegamenti da Genova, era già puro blob».
Che combinava come regista?
«Una volta, la diretta di 90° minuto, io facevo la regia del collegamento da Genova, c’era Giorgio Bubba. Era terrorizzato perché una volta lo mandai in onda con la sovrascritta senza che lui fosse ancora in studio. Si infuriò».
Due anni alla Rai di Genova. Poi?
«Mi chiamarono a Roma a seguire la programmazione cinema di RaiTre».
E ci è rimasto per 20 anni.
«Fuori orario li compie il 2 novembre prossimo».
Ma le piacerebbe tornare a fare il regista televisivo?
«Ho fatto molti programmi regionali da regista. Non lo so. Potrei fare un film, temo. Potrei finire il romanzo per il quale ho un contratto con Bompiani da 20 anni, si chiama Oro Solubile».
Scritto?
«Sto scrivendo, lo devo finire, lo devo iniziare...».
Però?
«Però Blob è il mio vero film, un film infinito libero da illusioni autoriali. Fare un film vuol dire convincere un sacco di gente a darti dei soldi, un sacco di persone a fare quello che tu pensi, è un fatto di autoritarismo che non mi appartiene. Il cineasta è un lavoro impossibile».
Perché parla fuori sincrono?
«È una cosa contro la mitologia dell’autore, del senso, contro la comunicazione, anche se ahimè è anche troppo autoriale come segno».
Lei da ragazzo era boy scout, in un gruppo molto cattolico.
«Sì era il Genova 3 dell’Asci. Vengo da una famiglia molto cattolica e tutti i miei inizi politici sono stati anarco-cattolici».
La criticano perché propone film complicati.
«Ho lavorato al palinsesto con Guglielmi, figuriamoci se non so cosa funziona in prima serata. È cinico quando qualcuno ti dice: voi fate film cinesi con i sottotitoli croati alle 3 di notte».
Lei è un telespettatore onnivoro. Ma c’è una tv che le piace di più?
«Le ambizioni faziane di tv migliore le trovo ingenuamente imbelli o disoneste. La tv deficiente è sempre un po’ più intelligente della tv intelligente».
Ci sono film che la annoiano?
«Mi annoiano i film che credono esista solo il racconto, mi annoiano i film d’autore che non ce la fanno».
Facciamo un nome: Muccino le piace?
«No, non mi piace il muccinema, pur ben fatto e sociologicamente “interessante”».
I più grandi registi viventi?
“Tre... mmm... troppo pochi. Lynch, Sokurov, Eastwood... e almeno dieci altri».
Clint Eastwood?
«Immenso, ogni film di più».


(10. Fine)

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