Economia

Venti di guerra su Marzotto Il titolo s’impenna (più 8,9%)

Umberto raddoppia la partecipazione e sale al 10,3% del capitale

Laura Verlicchi

da Milano

I venti di guerra su Marzotto fanno volare, ancora una volta, il titolo. Fino a un vertiginoso aumento dell’8,9%, a 3,88 euro, particolarmente significativo in una giornata tutt’altro che brillante come quella vissuta ieri a Piazza Affari. La scintilla che ha sprigionato l’incendio è stata l’annuncio che Umberto Marzotto, attraverso la Gencor, è salito al 10,3% del capitale del gruppo di Valdagno, raddoppiando quindi la sua partecipazione rispetto a quella detenuta all’inizio di luglio.
Un’operazione che il mercato ha immediatamente interpretato come la più concreta delle conferme all’ipotesi - smentita nei giorni scorsi, ma senza troppo successo, dagli interessati - della battaglia in corso, a colpi di azioni, tra i membri di una delle più antiche dinastie imprenditoriali italiane.
La strategia sarebbe quella già collaudata nella prima fase della guerra familiare, quella per il controllo di Zignago, appena vinta dai fratelli Gaetano, Stefano, Nicolò e Luca Marzotto (i cosiddetti «marzottini») insieme al cugino Marco Donà dalle Rose, con la loro offerta a 18,6 euro per azione che ha spazzato via quella, a 18 euro, della cordata avversaria.
Questa volta, però, a prendere l’iniziativa sarebbe lo schieramento che da quella battaglia è uscito perdente - guidato da Antonio Favrin, presidente di Marzotto, nonchè di Valentino e Zignago - che comprende appunto Umberto e la sua famiglia (Matteo, Vittorio Emanuele, Diamante e Paola Marzotto) oltre alla maggioranza dei Donà dalle Rose, cioè Andrea, Rosanna e Isabella. Il gruppo potrebbe avere deciso di rafforzarsi in Marzotto, dirottandovi parte della liquidità che incasseranno cedendo titoli della «cassaforte di famiglia» Zignago.
Un’ipotesi, certo: ma che spiegherebbe, secondo molti analisti, la crescita inarrestabile del titolo del gruppo tessile da un mese a questa parte, difficilmente giustificabile se si guarda solamente ai fondamentali della società e alle sue prospettive di sviluppo.
Come avevano fatto invece i molti investitori che, all’indomani della scissione tra Marzotto e Valentino, avvenuta il 1° luglio, hanno venduto i titoli dell’azienda tessile per focalizzarsi su quelli del polo moda, ritenuto più redditizio. Dalla griffe, infatti, si attendono risultati strepitosi, lasciata ormai alle spalle la fase di risanamento: la «vecchia» Marzotto, al contrario, appare sofferente, come tutto il tessile italiano, per la sempre più agguerrita concorrenza straniera. La scelta a molti è apparsa allora fin troppo facile: ma hanno fatto male i loro conti.
Numeri alla mano, le azioni Valentino, dopo la fiammata iniziale - il debutto a Piazza Affari ha visto un rialzo del 6,4% - hanno iniziato a raffreddarsi, fino a scivolare al di sotto dei 20 euro del loro primo giorno di quotazione.
Mentre i titoli di Valdagno hanno seguito un percorso esattamente speculare, che li ha portati a perdere il 7% del proprio valore nella settimana successiva alla scissione, concludendo però con il più imprevedibile dei rialzi: quasi il 70% in un mese.

Dando ragione a Gaetano Marzotto, che, mentre il titolo di famiglia scivolava ai minimi, prometteva «piacevoli sorprese»: «Chi ha venduto si dovrà ricredere».

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