Un momento fondamentale nella storia d'Israele, così è stato percepito da tutta la nazione il verdetto che ieri è stato pronunciato dal tribunale che ha riconosciuto il presidente della repubblica Moshe Katzav colpevole di un doppio stupro e di altri crimini sessuali nei confronti di varie donne capitate nella trappola del suo ufficio nel corso della sua insospettabile carriera. Benjamin Netanyahu, il primo ministro, ha espresso in poche parole il senso della percezione che il Paese ha di questo evento, del terribile shock ma anche del suo orgoglio: «È un giorno molto triste per Israele, ma anche un giorno in cui si dimostra che ogni cittadino è eguale di fronte alla legge e ogni donna è la sola padrona del suo corpo». Il verdetto è arrivato dopo quattro anni di indagini che hanno portato alla luce dell'informazione una mostruosa quantità di particolari su come, secondo le testimonianze delle vittime, un personaggio così simbolico e importante come il Presidente della Repubblica può approfittarsi del suo ruolo per compiere atti osceni e di violenza. La loro progressiva rivelazione ha seguitato a turbare un'opinione pubblica severa e sensibile sia alle regole che al carisma ormai infranto. Katzav si è difeso ferocemente rifiutando anche un accordo giudiziario che gli sarebbe stato assai utile, e tuttora si professa innocente mentre l'intera sua famiglia insiste sull'idea che si tratti di una montatura di stampa. Ma la fiducia nei giudici in Israele è incrollabile.
La sensazione generale quindi oggi è che sulla vicenda di Katzav si sia fatta giustizia. Ancora non è stata stabilita la pena, ma il prezzo minimo per la violenza sessuale è di quattro anni e di sedici secondo la nuova legge, e quindi Katzav potrebbe prendere parecchi decenni. Le accusatrici, dal primo momento in cui comparve una misteriosa "Aleph", sono diventate nove. Katsav è stato messo nell'angolo di un'umiliazione micidiale dopo aver sostenuto che le donne implicate nella vicenda erano più che consenzienti, anzi, innamorate e complici. Molte donne dei movimenti femministi ieri hanno commentato come si può immaginare lodando l'imparzialità e il coraggio della corte, ma questo niente sottrae a uno stato di shock che ha due ragioni principali.
La prima riguarda la storia personale di Katzav, una biografia miracolosa e tipica al contempo; un presidente che nel 2000, quando è stato eletto, aveva solo 54 anni, nato nel '45 a Teheran. Dunque, un bambino ebreo iraniano che aveva patito fame e persecuzioni, che giunto con la famiglia a sei anni da ragazzo aveva lavorato insieme agli altri poveri immigrati per costruire la nuova nazione ebraica, letteralmente mettendo in piedi Kiryat Malachi, la cittadina di cui era diventato sindaco a soli 24 anni. Con sua moglie Gila, un'insegnante, un tipo modesto e casalingo, avevano formato una famiglia di ferro. Katzav, che aveva battuto Peres alle elezioni dopo aver ricoperto svariate cariche ministeriali, ha incarnato il sogno di emancipazione di tanti ebrei orientali con la sua aria da sefardita signorile e religioso, quieto e deciso. Una figura che da tranquillizzante e paterna è divenuta minacciosa e violenta.
La seconda ragione del dolore di Israele è la rinuncia all'idea che il cursus honorum israeliano sia comunque un premio di assoluta eccellenza, di cui ci si può fidare a occhi chiusi. Se si pensa ai presidenti israeliani, subito vengono in mente figure torreggianti, speciali come Haim Herzog, intellettuali geniali come Yitzchak Ben Zvi o Zalman Shazar, storici e teorici autori di testi che tutti qui conoscono. E poi ci sono stati scienziati e politici come Ephraim Katzir, Yzchak Navon, Ezer Weizman, e oggi Shimon Peres, premio Nobel per la Pace.
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