«La Verdi? Amore per sempre»

Agostino Liuni, mecenate discreto e schivo, è l’uomo ombra dell’Orchestra Sinfonica Verdi, nel senso che in piena epoca di chiusure di orchestre italiane, e a fronte di una Verdi ormai sprovvista d’un tetto, nel 1998 decideva di investire soldi ed energie nella riabilitazione di un vecchio cinema di Milano, a un passo dai Navigli. Era il cinema Massimo, in 18 mesi rinato come Auditorium: una struttura bella a vedersi al suo interno e accattivante per produrvi musica. Un vero e proprio grembo musicale dove la cura dell’acustica ha avuto la priorità su tutto. Liuni, 63 anni, milanese, tre figli (Roberto, Gianmario, Eleonora), patron dell’omonima azienda a di pavimentazioni, rivestimenti murali, tessuti di arredamento e tendaggi, decideva di iniettare nell’impresa la bellezza di 20miliardi di vecchie di lire, pari a circa 10 milioni di euro. Lo faceva con la consapevolezza che il ritorno economico dell’operazione sarebbe stato lontano anni luce dai ricavi assicurati se l’area fosse stata adibita ad altro, parcheggio o centro commerciale, per esempio.
Il suo nome è tornato alla ribalta in questi giorni con l’acquisto dell’Auditorium da parte della Fondazione Verdi.
«Sono felice d’aver contribuito a quest’operazione di salvataggio dell’Orchestra, che le consentirà di sanare la situazione debitoria anche rispetto agli affitti non riscossi dal 2002, che verranno dilazionati senza interessi in dieci anni». Arco di tempo in cui Liuni porrà nelle casse della Verdi altri 150mila euro l’anno come sponsor. Liuni è innamorato della sua creatura, quando ne parla gli occhi si illuminano. La mente va ai mesi in cui si lavorava tambur battente «con l’allora direttore dell’orchestra Riccardo Chailly che mi chiamava giornalmente per chiedermi quando avrei consegnato la sala per poter provare il Mahler dell’inaugurazione». Vorace e curioso sperimentatore, Liuni illustra tanto l’Auditorium quanto la sua azienda come se fossero componenti di famiglia. E da uomo dalle forti passioni, quelle che accecano, ammette con un briciolo di stizza: «Solo a un certo punto dell’operazione mi resi conto che i politici promettevano senza mantenere. Venivano ai concerti pensati apposta per loro, ma l’indomani scomparivano, senza lasciare traccia». Così come si rammarica per l’Ambrogino d’oro promesso e poi sottratto all’ultimo. Non sono comunque mancati i riconoscimenti per l’impulso che l’imprenditore illuminato ha dato alla cultura di Milano. Si va dal premio Abbiati ai riconoscimenti indiretti dei concertisti gratificati per le proprietà acustiche dell’Auditorium. E comunque, in barba all’Ambrogino negato nel 2000, arrivò il premio «Angelo dell’anno» per la cultura.
Considerate le tergiversazioni della Verdi, in questi ultimi anni sull’orlo del collasso, rifarebbe mai questa esperienza?
«Io voglio bene al mio teatro. Per me il denaro ha un valore relativo: ciò che mi interessa è progettare nuove cose. E l’Auditorium è stato un bel progetto».
In realtà, la più grande soddisfazione di Liuni non proviene né dall’Auditorium né da un’azienda che ora condivide con i figli. E neppure dalla catena di strutture che portano pure la sua firma. L’appagamento superiore deriva da un centro per la cura dell’Alzheimer, a Gorla Minore, in provincia in Varese, che l’imprenditore ha consegnato chiavi in mano.
Non è così?
«Si, è vero. Quando ho saputo che qualche paziente aveva ripreso a scrivere, ho avvertito cosa sia la soddisfazione: quella vera, intima, che viene dal profondo, anche se rimane nascosta».
Si parla tanto di investire nella cultura. Che fa la Milano benestante per la cultura e la sua crescita?
«E’ troppo concentrata sui propri denari. Io sono nato povero, mio padre posava il linoleum. Poi ho avuto la fortuna di avviare la mia azienda in un momento propizio alla diffusione dei miei prodotti. Il denaro non è fra le mie priorità. Mi piace l’arte, creare nuove tendenze, trarre soddisfazione dal lavoro.

Non mi interessa avere l’autista fino a quando sarò in grado di guidare da solo. A Milano, i ricchi sono ricchi per se stessi. Mi sono chiesto spesso: è possibile che i 5mila soci della Verdi non siano riusciti a tirare fuori una somma più consistente in questi momenti di incertezze?».

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