da Roma
Ci ha pensato a lungo, s'è consultato con amici e colleghi, ha chiesto tempo al suo produttore Aurelio De Laurentiis prima di dare una risposta. Poi, confortato dagli oltre mille messaggi ricevuti via e-mail (1184 per l'esattezza), finalmente ha deciso: «Si può fare». Reduce dal suo infiammato intervento militante all'assemblea dei «Centoautori», dove se l'è presa pure con Vespa per gli speciali su Cogne, Carlo Verdone sta finendo di mettere a punto con Piero De Bernardi e Pasquale Plastino il copione del suo ventunesimo film da regista. Una commedia a episodi non intrecciati che rifà il verso, aggiornando i personaggi, allo stile degli esordi, insomma alle atmosfere di Un sacco bello (1980) e Bianco, rosso e Verdone (1981). Il titolo ancora non c'è. O, meglio, ci sono due o tre ipotesi da vagliare con cura, perché, su quel versante, non si può sbagliare. La nostalgia per i vecchi sketch dovrà andare di pari passi con la reinvenzione, anche fisica e psicologica, di quei «tipi», in modo da scongiurare pigrizie e scorciatoie. Primo ciak ai primi di agosto, nel cast, oltre a Verdone che si fa in tre, quasi certamente Claudia Gerini.
Che fa, riunisce la coppia Ivano e Jessica di «famolo strano»?
«Vedrete una Gerini diversa, inattesa. L'idea è di riprendere quei personaggi così amati dal pubblico, appunto Ivano (il coatto), Leo (l'imbranato) e Raniero-Furio (il petulante), per vedere che cosa sono diventati. Ho esitato, all'inizio ero scettico, mi sembrava artisticamente un passo indietro. Poi ho capito che le richieste venivano dai giovani, che c'era una curiosità sincera».
Una sorta di «A grande richiesta»?
«Precisamente. Per me è come aprire un armadio e tirare fuori un cesto pieno di vecchie cose. Vediamo se mi stanno ancora bene. Ma non sarà una prova all'insegna del trasformismo. Userò una sola parrucca, per Raniero, niente abiti sgargianti, mi affiderò a piccoli dettagli fisici, un paio di occhiali, un tic, un timbro di voce. Mi piace la sfida di riprendere quei personaggi tanti anni dopo, vedere cosa sono diventati, osservarli in famiglia, alle prese con mogli e figli, magari amanti. Vorrei che fossero dei pezzi di recitazione, con situazioni anche estreme. Poi richiuderò per sempre il cesto in quell'armadio».
Perché proprio ora?
«Perché ho quasi 57 anni, ad aspettare ancora si rischia di diventare ridicoli. D'altro canto, sento che Leo, Raniero, Ivano sono personaggi ancora vivi, sui quali lavorare. Su You-Tube è un continuo di sketch. Sa che il dvd con Bianco, rosso e Verdone ha venduto trentamila copie in poche settimane? Adesso mi preparo a fare uscire Un sacco bello. Gli extra sono uno spasso, ho recuperato a Marbella anche la spagnola disinibita, Veronica Miriel, che mandava in bianco Leo. Questi cinquanta minuti li presento il 21 giugno a Varese, assieme al vostro Maurizio Cabona».
Dei tre personaggi quali preferisce?
«A me piace sempre Ivano, il coatto disastrato. I nostalgici invece amano Leo, il naïf tenerone, mentre i più sofisticati stravedono per Raniero, il più sinistro».
Come si sente ad essere tornato in vetta alle classifiche?
«Benissimo. Il mio miglior nemico ha superato i 20 milioni di euro. Manuale d'amore 2, al quale ho dato volentieri il mio contributo, sta sopra i 19. Sarà perché, arrivati a un certo punto della carriera, viene meno la cosiddetta ansia da prestazione. Non devi dimostrare niente a nessuno, puoi solo migliorare. E impari le virtù della misura: capisci quando devi spingere il piede sull'acceleratore e quando devi toglierlo. Se poi arrivano i premi tanto meglio».
Ha confessato in un'intervista che l'anno scorso si aspettava un David per Il mio miglior nemico...
«Ci speravo. Ma non è andata così. Li diano a Sorrentino i premi, a me, alla fine, bastano la simpatia e l'affetto del pubblico».
Si dice sempre così. Però sarà contento per Silvio Muccino, che ora debutta in veste di regista con Parlami d'amore...
«Ho fiducia in lui. Sa scrivere, è un interprete fine, capace di astuzie da attore navigato, ha senso del ritmo e del montaggio. Se la caverà bene, anche se non mi pare una storia semplice».
Senta, com'è finita quella vicenda del festival Terra di Siena, che lei contribuì a rilanciare insieme con il giornalista Giovanni Bogani?
«Un brutto episodio. Aspetto ancora di prendere dei soldi, e non per colpa delle istituzioni locali. C'è di mezzo una signora, titolare del marchio, che ha combinato qualche pasticcio. Non mi faccia dire altro».
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