Politica

Le verità di Altissimo «Mi chiesero il 5% per pagare il Pci»

Lui sa cose che in pochi sanno, e soprattutto, ha visto cose che in pochissimi in Italia avrebbero il coraggio di raccontare. Non solo l’ex leader del partito Liberale, Renato Altissimo oggi le racconta, nero su bianco. È uscito il suo libro intervista con l’ex direttore del Tempo, Gaetano Pedullà L’inganno di Tangentopoli (Marsilio, prefazione di Giuliano Ferrara), che a vent’anni da Mani Pulite, smaschera politici e imprenditori complici di quella diabolica macchina raccatta soldi. Altissimo (oggi 72enne), esce allo scoperto e apre gli armadi della vergogna, tirando fuori tutti gli scheletri possibili. Quando politici e manager «trattenevano» per loro le mazzette, quando negli affari tra l’Italia e i paesi ex Urss una quota era destinata al Pci, quando Cuccia invitò Craxi a guidare una «rivoluzione», portando al governo la sinistra socialista e comunista, marginalizzando la Dc: Craxi rifiutò e venne abbattuto.
Il più volte ministro svela inediti retroscena di quella stagione buia della storia d’Italia di cui Dagospia ha pubblicato alcune anticipazioni. Bombe a ripetizione. Negli anni Settanta, quando lavorava nell’azienda di famiglia, la Altissimo, che produceva fanaleria per auto, ricevette una visita. «Mi contattò un tale ragionier Bianchi, a nome di una azienda di import-export di Milano, che mi propose di entrare nel mercato jugoslavo. Ma per farlo dovevamo versare il 5% su un conto in Svizzera del Partito comunista italiano».
Poi c’erano le «creste di Tangentopoli». «Eravamo vicini alle elezioni del ’92 e andai al gruppo industriale Sama. Mi consegnarono una valigetta dicendomi che era un contributo per la campagna elettorale del Pli. Fui poi condannato per aver preso 200 milioni di lire, ma in quella valigetta c’era molto meno. Qualcuno aveva fatto la cresta persino sui soldi destinati al finanziamento della politica».
Nel marzo ’93, dopo l’avviso di garanzia, Altissimo racconta di aver chiamato l’allora direttore della Stampa, Ezio Mauro, per replicare nelle sue pagine. «Non mi faccia perdere tempo - fu la risposta - non c’è niente da spiegare. I soldi li ha presi o no?». Poco dopo la sua nomina alla Stampa, Altissimo ne parlò con Agnelli. «Come mai - gli chiese - avete messo un filocomunista al timone del giornale di Torino?». «Perché un comunista in redazione val bene la pace in fabbrica», rispose l’avvocato.
Da ministro dell’Industria (con Craxi), conobbe l’ad della Heinz, produttrice del famoso Ketchup, che voleva comprare la Sme, sotto il controllo pubblico, per circa 3.500 miliardi di lire. «Feci presente questo interesse a Prodi, allora presidente dell’Iri, a cui faceva capo la Sme». Ma lui si mise a ridere: «Mi rivelò che la Sme era zeppa di liquidità e l’Iri non avrebbe mai potuto venderla». Qualche mese dopo Altissimo ricevette una telefonata dell’ingegner De Benedetti. «Renato, volevo informarti che abbiamo concluso ieri l’acquisto della Sme». Era stata venduta per soli 497 miliardi, pagabili in cinque anni. E Prodi? «Fu lui a telefonarmi - racconta Altissimo nel libro - “Renatino, volevo dirti che ho venduto la Sme. Sarai contento finalmente”. Gli chiesi come mai era stata venduta a sette volte meno il suo valore, mentre c’erano soggetti pronti a offrire di più. “Perché De Benedetti ha un taglietto sul pisello che altri non hanno”, fu la risposta di Prodi, alludendo a pressioni di consorterie ebraiche».


Anche questa era Tangentopoli.

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