Per un giorno intero tutto il mondo ha parlato di lui. E negli ambienti della musicologia, chissà per quanto tempo il dibattito proseguirà. Motivo di tanta improvvisa celebrità, la sua teoria: ovvero che il celebre brano per pianoforte «Per Elisa», per come lo si conosce, potrebbe non essere attribuibile a Ludwig van Beethoven. Un interrogativo a cui altri studiosi si erano avvicinati. Ora ad aggiungere qualche «pezzo» e a ritornare alla carica sulla questione non è il solito studioso arci-teutonico maniaco del gigante di Bonn, il professor tipico di certa iconografia della serie capelli bianchi arruffati, occhialetti sul naso e nello studio pagine pentagrammate sparse ovunque. Stavolta è uno scattante milanese: al secolo Luca Chiantore, 43 anni, è vissuto a lungo nellhinterland del capoluogo, ha frequentato un liceo di Monza e per gli studi musicali la professoressa lombarda Emilia Crippa Stradella; poi, il trasferimento in Spagna, dove risiede tuttora. Musicologo e pianista, la sua ipotesi, che ha presentato alluniversità di Barcellona, negli ambienti della cultura ha provocato non pochi movimenti tellurici.
«Sono convinto - ribadisce - che a dare la forma al pezzo per come oggi lo conosciamo sia stato Ludwig Nohl». Ma chi è costui? Per capire la storia bisogna partire proprio dalla partitura in questione. «Di Per Elisa non si parla in alcuno scritto dellepoca di Beethoven - spiega lo studioso milanese -. E nessuna persona di sua conoscenza ne fa accenno. Improvvisamente, nel 1865, Nohl, che era allora un giovane musicologo, annunciò la scoperta di un manoscritto in cui il pezzo veniva dedicato a una non ben identificata Elisa. E due anni dopo lo trascrisse nelle sue Neue Briefe Beethovens; ma il manoscritto non lha mai potuto vedere nessuno. Si dà il caso che uno dei molti manoscritti che il compositore ci ha lasciato sia quello che include gli appunti per il pezzo. Nella mia relazione, insomma, ho cercato di capire che rapporto poteva esserci tra questi appunti e la partitura finale, e lì sono cominciate le sorprese...».
Buona parte della teoria di Chiantore si basa su un diverso modo di vedere i lavori classici, che di solito «immaginiamo come opere statiche, fissate sempre nella rigidità della composizione terminata.
«Lapproccio che propongo è molto diverso - continua il musicologo -. Quelli di Per Elisa, per esempio, sono appunti che fra le mani di un buon improvvisatore possono essere lo spunto per creare pagine molto diverse tra di loro. Fino a ora, questi abbozzi, sono stati letti sempre in funzione della versione definitiva. Ma lautenticità di questa versione è tuttaltro che provata. Ed è quindi facile supporre che Beethoven, se avesse voluto pubblicare il brano, avrebbe scritto qualcosa di molto diverso da quello che conosciamo».
Sacrilegio: laltro giorno, quando il musicologo italiano ha esposto il suo pensiero nellaula magna dellateneo spagnolo (loccasione era la presentazione del suo dottorato di ricerca; «studio da anni la storia dellinterpretazione pianistica») non pochi sono rimasti a bocca aperta. Insomma, mettere in discussione un brano il cui autore è sacro e sicuro come Babbo Natale per i bambini, è risultata unazione a dir poco azzardata. «Ma non a tutti è sembrata così - controbatte -. Non cè stata ancora una vera discussione accademica, perché i risultati non sono stati ancora pubblicati. Ma linteresse per il mio lavoro presso tutti gli studiosi con cui ho parlato è stato molto elevato, sarà un piacere discuterne...».
A dire il vero a muoversi sugli stessi sentieri riguardo allinterpretazione del brano in questione, nel 1984 era stato anche il musicologo Barry Cooper, uno dei maggiori esperti mondiali su Beethoven: «In quel periodo dimostrò - conclude - che una parte di quegli appunti furono scritti in un secondo momento, pensando probabilmente a una pubblicazione che è chiaramente diversa dal pezzo che abbiamo sempre sentito». La questione dunque, è aperta e assai intrigante. E come, si dice, ai posteri lardua sentenza.
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