La verità su Guernica, un «segreto» da storici

Durante la guerra civile spagnola, la cittadina Guernica era un obiettivo strategico. Ospitava fabbriche d’armi e depositi di artiglieria e vi erano concentrati tre battaglioni con duemila soldati «repubblicani» antifranchisti. Tutti i testimoni, interrogati dalle commissioni internazionali d’inchiesta, affermarono che poche bombe caddero sulle case e che i morti furono 102 (molti dei quali militari), mentre 30 furono i feriti. Ma ancora oggi prevale la leggenda secondo cui «Nugoli di aerei della Legione Condor hanno scatenato su un pacifico centro abitato da contadini, privo di difese, uno spaventoso bombardamento. Per tre ore ha infuriato la tempesta di fuoco e dalle macerie sono stati estratti i corpi di 1.650 persone, mentre 800 sono stati i feriti. È la prima volta nella storia che aerei da combattimento colpiscono civili inermi». E il «compagno» Picasso accettò l’incarico del Partito comunista spagnolo di immortalare il «barbaro episodio». Dietro il compenso di 300mila pesetas. Ma, secondo autorevoli storici, intitolò «Guernica» un quadro che stava ultimando, dedicato a un suo amico torero, «Lamento en muerte del torero Joselito». Infatti ci sono il torero morente, il cavallo del picador, il toro, ma non si vedono né aerei né bombe. Speriamo che la verità su Guernica emerga dal censimento delle vittime della guerra civile che il giudice Baltazar Garzón, famoso per avere inquisito Silvio Berlusconi come proprietario di Mediaset, si accinge a condurre ai sensi della «Legge sulla memoria» approvata recentemente dal Parlamento spagnolo.


La verità su Guernica la conoscono tutti (ivi compreso Baltazar Garzón), caro Mazziotti. Il fatto è che in molti non vogliono ammetterla, preferendo appendere la guerra civile spagnola al chiodo di quel celebre quadro. I fatti sono noti: a dare notizia del bombardamento di Guernica fu l’inviato del Times George Steer, che però non era sul luogo quel 26 aprile del 1937 e scrisse l’articolo basandosi sulle «testimonianze» dei repubblicani. Riferì che gli aerei tedeschi avevano fra l’altro colpito la piazza dove si teneva il mercato, uccidendo così centinaia e centinaia di civili. Ma a Guernica il mercato si teneva solo la mattina e la Legione Condor, com’è stranoto, giunse nel pomeriggio. Scrisse anche che la cittadina andò praticamente distrutta. Eppure il palazzo municipale e gli altri edifici della zona bombardata «a tappeto» sono ancor oggi al proprio posto. Vittime ce ne furono, ma non certo le oltre mille e cinquecento dichiarate dalla propaganda repubblicana. I morti furono meno di duecento, sempre tanti, tantissimi, ma si stava combattendo una guerra, in Spagna, e una delle conseguenze della guerra è, purtroppo, quella di seminar morte. In quanto al quadro, tutto vero: Picasso si limitò a ritoccare, aggiungendovi la lampadina e altri particolari, una tela pressoché terminata, «En muerte del torero Joselito», che gli venne pagata dal Cremlino via Comintern 300mila pesetas, qualcosa come un milione e mezzo di euri. Il quadro divenne subito popolarissimo e ci fu ressa per interpretarne i simboli.

La maggioranza degli esegeti, compreso quel Giulio Argan che, anni più tardi, dichiarerà autentiche le teste di Modigliani scolpite per burla e con il Black&Deker da due ragazzi di Livorno, mise in rilievo la potenza del minotauro-fascismo e del cavallo-angoscia. Quando il minotauro è il toro che uccise Joselito e il cavallo quello, sventrato dal toro medesimo, del picador.

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