La verità sul sequestro di due 007 italiani torturati a Bagdad

Gian Marco Chiocci

da Roma

Ecco la vera storia del (vero) rapimento di due agenti segreti del Sismi a Bagdad. È una storia che per motivi di prudenza e di opportunità è stata sempre tenuta riservata dalle autorità italiane preoccupate per l’incolumità di questa coppia di 007 che dopo la liberazione, e il rientro all’aeroporto di Ciampino la mattina di Pasqua del 2004, è tornata a rischiare la pelle sul campo iracheno. Per ovvii motivi i nomi non si possono fare, basta dire che uno dei due ha avuto anche un ruolo nella liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, oltreché nel rilascio di altri ostaggi in Irak.
La storia del sequestro fantasma comincia il 9 aprile 2004 alle ore 10.48 quando un take dell’agenzia di stampa Reuters batte la seguente notizia: quattro cittadini che gridavano «italian italian» sono stati rapiti vicino la moschea di Abu Ghraib. La notizia è vera per metà, nel senso che sono due gli italiani rapiti e non quattro. Ma col senno di poi si rivelerà agghiacciante perché anticipa di 48 ore l’esatto numero di quelli che poi saranno i bodyguard italiani sequestrati.
Se da un lato il flash della Reuters viene smentito ufficialmente dal governo italiano preoccupato di togliere dalla testa dei sequestratori l’idea che gli ostaggi potessero essere dei servizi segreti, dall’altro il Sismi si attiva indirettamente con l’ufficio dell’agenzia a Bagdad e scopre dal responsabile della Reuters che un free lance dell’agenzia ha notato due italiani trascinati a forza dentro una moschea sotto controllo sunnita. Parla di quattro occidentali ma ne vede solo due, come mai? E perché al caporedattore fa presente che si tratterebbe di persone dai tratti mediterranei che «lavorano con una ditta di sicurezza italiana», circostanza falsa, ma che si rivelerà vera solo se riferita al sequestro non ancora effettuato dei contractor Quattrocchi, Agliana, Cupertino e Stefio? Coincidenze e preveggenze, visto che proprio 48 ore dopo i bodyguard verranno rapiti dopo aver perso l’aereo per Amman ed esser stati costretti, prima a cambiare in corsa un’anonima berlina con un più vistoso fuoristrada, e poi a intraprendere un viaggio sconsigliato dai bollettini della Forza Multinazionale.
Ma torniamo ai nostri 007. Dalla descrizione degli abiti e dall’improvvisa assenza di segnale del telefono satellitare in uso agli agenti, il Sismi ha la conferma di aver perso due uomini. L’ordine che parte da Roma è categorico: negare, smentire, sviare. L’ambasciata italiana risponde che «non risulta» nulla, idem fa la Farnesina. I successivi accertamenti di Forte Braschi confermano che gli uomini sono stati prelevati da un commando sunnita solo per una fortuita coincidenza in quanto si trovano alle spalle di un convoglio americano attaccato dalla resistenza. Hanno in una tasca il passaporto diplomatico, nell’altra una Beretta. Ciò ingenera il sospetto, nei sequestratori, che i due possano esser delle spie. A forza di sevizie e torture (fil di ferro stretto sulle braccia, bruciature sulla pelle) i carcerieri scartano l’ipotesi dello spionaggio. Sono ore drammatiche. Solo alle 5.20 del sabato mattina i finti diplomatici vengono slegati, rilasciati, presi in consegna dai colleghi, portati al sicuro eppoi all’aeroporto direzione Roma. Ma tornano presto a Bagdad quando iniziano a filtrare dettagliate indiscrezioni, come quella del 7 marzo 2005, in cui l’Ansa scrive del maggiore che era in macchina con Calipari «che in precedenza era stato costretto a stare sdraiato bocconi sul freddo pavimento di una moschea». Il riferimento alla moschea e alla posizione assunta dal maggiore, fa pensare che uno dei due rapiti sia l’autista della Corolla sforacchiata dai proiettili al check-point dell’esercito Usa. Il Sismi non conferma. Trapela solo che l’agente sequestrato ha dato il suo contributo, come altri «operativi» dell’intelligence militare, alla liberazione della Sgrena e di numerosi ostaggi.

Questi i nomi: i francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot, la giornalista di Liberation Florence Aubenas, l’australiano Douglas Wood, i romeni Marie Jeann Ion, Sorin Dumitru Miscoci, Ovidiu Ohanesian messi in salvo il 22 maggio a Bagdad, l’austriaca Volker Millerhame e l’irlandese Rory Carroll, prelevata nel quartiere sciita di Bagdad il 19 ottobre 2005 e tornata anzitempo in patria quando tutti già la davano per spacciata.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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