Al Dal Verme nasce «Incroci sonori» il festival del jazz

L’apertura sarà affidata alla portoghese Maria Joao, la chiusura al quintetto della norvegese Rebekka Bakken

Franco Fayenz

Milano è priva di un festival del jazz da quindici anni. Naturalmente, non è obbligatorio che una città abbia un festival specifico. Possono bastare dei buoni club (Milano vanta soprattutto il Blue Note) e una stagione concertistica adeguata qual è Aperitivo in Concerto, sebbene sia piuttosto breve.
Tuttavia un festival crea interesse e sollecita discussioni, purché non sia seguito da un silenzio totale. Per questo il Festival Internazionale del jazz «Città di Milano» che si teneva al Ciak sotto la guida di un personaggio irripetibile come Leo Wachter, è ricordato ancora con nostalgia.
Adesso ci riprova la Provincia al Teatro Dal Verme con la direzione artistica di Luciano Vanni. L’insegna è piuttosto prudente e riflette il cambiamento dei tempi. La manifestazione si chiama «Festival Internazionale di Musica “Incroci sonori”». Qui c’è un asterisco che precede una frase in caratteri più piccoli: «... se non sai cos’è, allora è Jazz»». Sono previsti cinque concerti tra pochi giorni, dal 6 al 20 febbraio, tutti alle ore 21.
La frase citata pone l’accento sulla natura del jazz come musica di sintesi. Oggi, in tempi di globalizzazione, lo è più che mai, a tal segno che viene spesso imputato di aver perduto la propria identità. Eppure è questa la strada verso la quale il jazz, e la musica contemporanea in generale, si sta avviando.
Fino a pochi anni fa, era impensabile un festival riguardante il jazz che si presenta soltanto con musicisti non americani ed estranei a quello che, per intenderci, chiamiamo ormai «jazz-jazz», o mainstream, o jazz della corrente principale.
Veniamo al programma. Il concerto di apertura è affidato alla cantante portoghese Maria Joao che, come suole, si fa accompagnare dal pianista Mario Laginha. È già nota e apprezzata in Italia (la ricordiamo di recente ai Rumori Mediterranei di Roccella Jonica) anche per il suo modo singolare di danzare cantando. Segue mercoledì 8 febbraio il duo di Ray Lema e Chico Cesar, percussionista e chitarrista, che vengono rispettivamente dalla Repubblica del Congo e dal Brasile: Lema è anche organista e pianista classico, e quindi c’è da attendersi un mixaggio di particolare interesse.
Il 13 febbraio è la volta del trio finlandese Toykeat (Iiro Rantala pianoforte, Eerik Siikari contrabbasso, Rami Eskelinen batteria), assai noto a chi abbia assistito ai festival di Pori o di Tàmpere. Il 15 febbraio arriva Boi Akih, nome di un gruppo musicale multietnico imperniato sulla cantante molucchese Monica Akihary, che a Milano si farà accompagnare soltanto dal chitarrista olandese Niels Brouwer. Si parla, in questo caso, di un insieme seducente di cultura europea, indiana e indonesiana.
Per il concerto di chiusura è di scena con il suo quintetto la cantante norvegese Rebekka Bakken, preceduta da giudizi critici (maschili) addirittura iperbolici.
Qualche osservazione. Tre concerti vocali su cinque sembrano troppi ma attendiamo fiduciosi, mentre nutriamo qualche dubbio sulla «jazzità», quantunque lontana, di una musica che viene addirittura dalle isole Molucche.

In compenso, il festival sarà nobilitato da una mostra fotografica di Francesco Truono. L’artista salernitano, ancora poco conosciuto a Milano, scatta immagini a colori straordinarie per l’intensità dei soggetti e la bellezza cromatica. Per molti sarà una grande rivelazione.

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