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Vermont, lo Stato dei «ribelli» vuole l’indipendenza dagli Usa

«Nel 1777 ci liberammo degli inglesi, possiamo farlo di nuovo con gli americani»

Giuseppe De Bellis

da Montpelier (Vermont)

È tutta colpa di Rudyard Kipling: lui gli ha dato la giustificazione. Lui li ha autorizzati a fare come gli pare sempre, anche quando non c’è bisogno. Venne qui a scrivere Capitani coraggiosi e questi gli hanno creduto davvero. Coraggiosi l’hanno interpretato come bizzarri, strani, diversi. Quelli del Vermont, allora. Quelli del secondo stato meno popoloso d’America. Quelli che oggi sognano l’indipendenza da Washington e da tutti gli altri Stati Uniti. L’ultima follia è questa: staccarsi dal Paese e restare da soli. In seicentomila appena, meno degli abitanti di Bologna. Dicono che in fondo a Lussemburgo sono anche meno, ma vivono meglio; che a San Marino sono pochissimi, ma stanno alla grande.
L’idea della nuova secessione si chiama Second Vermont republic: è un movimento politico-culturale, una specie di Lega degli Stati Uniti che muove i primi passi. Venerdì aprirà la sua prima convention ufficiale, ha chiesto l’autorizzazione al governatore Jim Douglas di occupare scranni e poltrone della State House della capitale Montpelier per l’inizio di una battaglia che punta dritto all’autonomia totale. E Douglas il permesso gliel’ha dato, anche se lui è repubblicano, anche se formalmente lui dovrebbe essere la cerniera tra la periferia e Washington. L’ha dato perché in questo posto di pazzi l’indipendenza è una chimera inseguita da tutti. Allora un gruppo di persone ha cominciato a ragionare sul come ottenerla. Il capo dei ribelli si chiama Thomas Naylor, uno che faceva il professore di economia alla Duke university e poi un giorno ha deciso di mollare tutto per trasferirsi al nord, dove d’inverno non si superano i meno tre e dove la gente viaggia con le automobili sui laghi ghiacciati.
È arrivato nel Vermont, Naylor. È arrivato folgorato dall’intuizione della moglie. Lei lavorava nello stesso ateneo, nel dipartimento di studi costituzionali. Un pomeriggio tra una ricerca e un’altra si fermò a leggere la Costituzione del Vermont. Quella del 1777, quella della quattordicesima colonia che mise sotto gli inglesi nella guerra d’Indipendenza. I capitani coraggiosi lottarono da soli, in un conflitto diverso da quello delle tredici colonie. Quando vinsero decisero di crearsi il loro staterello, piccolo e verde, freddo e complicato. Poi, dopo 14 anni, pensarono che in fondo non ce l’avrebbero fatta: si confederarono con l’abbozzo degli Usa nati nel 1776. Si confederarono con una serie di accordi bilaterali: articoli, commi, clausole su clausole. E tra queste la scappatoia che nel 2005 fa sognare Naylor, la moglie e un migliaio di adepti cooptati alla causa: «Nella costituzione degli Stati Uniti la secessione non è vietata. E tra gli accordi presi nel 1791 c’è la possibilità del Vermont di lasciare la federazione se non vengono rispettati i suoi principi». È un cuneo o una voragine, dipende da che parte la si vede. Per il Professore è una falla abbastanza grande per lasciare speranze. Così mister Naylor aggiunge dettagli e incartamenti, tira fuori documenti e carte bollate. Cita Thomas Jefferson: «In qualunque momento ogni forma di governo diventa distruttiva, è un diritto della gente alterarla o abolirla e istituire un nuovo governo».
Si va, in Vermont. Si va a sedersi in un’aula parlamentare per capire come si può alzare un confine contro Washington. Perché questa è una battaglia politica e ideologica. C’è che l’amministrazione Bush in uno Stato liberal come questo è un nemico a prescindere. Le tasse sono troppo alte e lo sarebbero anche se le tagliassero del 20%; il rischio di un attacco terroristico è massimo e lo sarebbe anche se Al Qaida non esistesse. I capitani coraggiosi sono così: si sentono più vicini al Canada che all’America, ospitano gli «esuli» ricchi e radical chic di New York che scappano qui per sentirsi a contatto con la natura. Così la Casa Bianca è il Diavolo. Anche se permette al Vermont di «esportare» succo d’acero, miele e granito, anche se senza quelle esportazioni qui non si camperebbe. Allora chiedi come farebbero se un giorno la chimera dell’indipendenza fosse raggiunta. Lo chiedi e ti rispondono che non c’è un grande problema: «Circa cinquanta nazioni al mondo hanno una popolazione inferiore alla nostra e cinque di queste sono tra le più ricche». Sono Liechtenstein, Lussemburgo, Bermuda, Islanda e Isole Cayman. Sono queste, che però per sopravvivere da nababbe si appoggiano ad altre. «E noi ci appoggeremo al Canada».
Il nuovo secessionista d’America è convinto, certo che in qualche modo la Second Vermont Republic un pezzetto di gloria lo raggiungerà. E se non sarà l’indipendenza, potrà essere qualche sconto fiscale, per tenere a bada i fremiti troppo Coraggiosi. Forse Naylor a questo punta: sa che è meglio di una battaglia legale infinita, di una sentenza della Corte suprema che magari gli darà torto. È meglio e costa meno. È meglio e fa tanto «caso», che qui è una specie di ossessione. Perché questo è lo Stato che per primo cominciò lo sterminio degli indiani e anche quello che per primo dichiarò guerra al nazifascismo. Qui in una seduta del congresso si votò l’ingresso nel secondo conflitto mondiale degli Usa: non valeva una cicca, ma fece scalpore. Qui, in questo pezzetto di America che detesta l’America, nel 2001 è stato dato via libera ai matrimoni gay: tre anni prima che scoppiasse il caso mondiale. Sempre qui è stata votata una legge rigorosa: dichiara l’intero territorio dello Stato «patrimonio ambientale e storico». È stata approvata l’anno scorso per impedire che arrivassero i Wal Mart a rovinare il panorama. Non è stata sufficiente, ma ha limitato a quattro i grandi magazzini e tutti al confine con altri Stati. Con lo stesso criterio, un’altra legge vieta i cartelloni pubblicitari lungo le strade e per i cittadini è obbligatorio fare almeno un bagno alla settimana: è consigliato il sabato sera, perché se le strade devono essere in ordine figuriamoci le persone.
Non l’ha decisa un parlamento ma il mercato l’assenza dei McDonald’s. Montpelier è l’unica capitale dei 50 Stati americani a non averne neanche uno. E poi è la più piccola: novemila abitanti. Qui sono cresciute anomalie politiche come Howard Dean, che oggi è il presidente del partito democratico, ieri è stato governatore del Vermont e candidato alla Casa Bianca: il candidato on line, convinto che internet potesse aprirgli le porte del Paradiso e che invece è rimasto travolto dalle sue idee e da un urlo dopo la sconfitta nelle primarie in Iowa che l’ha trasformato nello zimbello della politica Usa.
Il Vermont è anche la patria Fred Tuttle: nel 1998 vinse le primarie repubblicane per il Senato. Era un contadino di ottant’anni: spese 16 dollari per la campagna elettorale e mise sotto il miliardario Jack McCullen (55% a 45%). Bizzarro, ai limiti del grottesco. Bizzarro e vero, come James Jeffors che al Senato nel 2000 c’era e con il partito repubblicano. Solo che il 24 maggio 2001 fece il ribaltone: passò al gruppo dei democratici da indipendente perché non condivideva il programma di George W. Bush su energia, difesa e ambiente. Portò il presidente in minoranza al Senato: 49-51. Un casino simile a quello creato di Bernard Sanders che invece sta alla Camera e si dichiara «socialista». L’unico di tutto il Congresso. Adesso è uno degli amici della Second Vermont Republic. Perché qui conta quanto riesci a stare in piedi senza scivolare sul ghiaccio. Qui più sei strano, più piaci. Qui parli di indipendenza e tutti ascoltano: così nella città di montagna Killington hanno indetto un referendum. Loro confinano col New Hampshire e vogliono passare all’altro Stato perché il Vermont è patrimonio ambientale e non si possono costruire gli impianti sciistici, perché in Vermont non puoi fare pubblicità lungo le strade, perché in Vermont se ti muovi finisce che scivoli sul ghiaccio di qualche legge strana. È il contrabbasso dei capitani coraggiosi.


(1. Continua)

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