Con la vicenda di Eluana Englaro, per la prima volta nella storia giuridica del nostro paese, un magistrato della Corte d'Appello di Milano accoglieva le richieste dei familiari e autorizzava l'interruzione all'alimentazione e all'idratazione artificiale. Da più parti veniva lanciato l'appello perché non fosse applicata la sentenza. Tutti si sono mossi per aiutare Eluana. Anche noi, in Liguria, abbiamo raccolto l'invito di Giuliano Ferrara sul Foglio. «Una bottiglia d'acqua per Eluana» Al Centro di Aiuto alla Vita di Albenga, come davanti al Duomo di Milano centinaia di bottiglie depositate. Veglie di preghiera a Genova, a Imperia e in altre città liguri. Sentenza crudele, non pietosa. Voci di dissenso si sono levate non solo nella Chiesa Cattolica ma anche nel mondo della politica e della scienza. Dissenso pure da una parte della stessa magistratura, che a inizio agosto aveva già impugnato davanti alla Cassazione la sentenza della Corte d'Appello. Ma poco più in là da Genova, infatti la stessa condizione di coma la vive la moglie di Mimmo Raso, residente ad Arquata Scrivia, da 5 anni in stato vegetativo persistente. Tutte situazioni di vita drammatiche che, anziché convincere in maggiore impegno di assistenza da parte delle Istituzioni, contribuiscono solo a fissare nell'agenda di governo l«urgente» questione del testamento biologico.
Ma si può disporre così della vita umana? Ma un testamento biologico, nel caso di Eluana Englaro, o della moglie di Mimmo Raso, sarà davvero la soluzione a tutte queste situazioni di cosidetta «fine vita», dove già ora non c'è traccia evidente né di accanimento né di abbandono terapeutico? Non sarà questo solo un modo per derubricare la responsabilità delle Istituzioni dall'impegno in una reale tutela della vita umana, fino alla morte naturale?
*Centro aiuto alla vita Albenga
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