Regina Coeli è il carcere più famoso d’Italia. Oggi è il punto di resistenza cristiana al politicamente corretto che vorrebbe disinfettare dal sacro e soprattutto dal cattolicesimo ogni spazio pubblico e specialmente statale. All’ingresso, nella rotonda da cui si dipartono i raggi, c’è una statua della Madonna. Del resto Regina Coeli già a causa del nome è una sfida alla moda multiculturale. Perché evocare la Regina del Cielo, che notoriamente è la Madonna, quando in carcere ci sono un sacco di musulmani per cui in cielo non c’è nessuna regina, al massimo ci sono le uri a uso e consumo dei martiri?
Ci sono delle sezioni elevate a monumento nazionale: sono entrate nel nostro immaginario coi film anni ’50, con le porte di legno spesso, le ringhiere, il cortile per l’ora d’aria. Ma c’è qualcosa di ancora più monumentale e storico, anche se fresco come le cose dei bambini insegnate loro dai vecchi: il presepio. Dietro le sbarre c’è una gemmazione di gesubambini, capanne e asinelli.
In questo momento il carcere di Regina Coeli è divenuto forse l’angolo del nostro Paese dove c’è la più forte resistenza cristiana al neopaganesimo. Soprattutto quello travestito da politicamente corretto. Strano ma vero. Con tutti i problemi e la vita grama delle galere, e il caso Cucchi, e le tragedie di quando manca la libertà però qui il Natale è Natale, nel senso che nasce Gesù. Non si concepisce tra queste mura Natale senza Gesù, fisico, carnale, roseo, amatissimo forse perché è stato carcerato anche lui. Ricordate le polemiche sulla scuola di Cremona e la festa delle luci privata di Gesù Bambino? Non è un caso isolato, ci sono tanti asili comunali dove si rappresenta la fiaba del funghetto e dell’extraterrestre pur di non parlare di Betlemme. Nelle scuole statali, in nome del multiculturalismo e del rispetto per l’Islam o per chi professa ateismo o quel che voglia, si elimina spesso la nascita del Salvatore come causa della festa. Si fa la festa della luce, ma senza che la luce illumini il volto del Bambinello. Una luce senza senso. Qui no. Sono mille i detenuti, la gran parte - più del 90 per cento - in attesa di giudizio. Più della metà sono stranieri, prevalgono i romeni. Ma sovrabbondano - sono alcune centinaia - i carcerati coi nomi arabi di musulmani. Eppure nessuno si sogna di togliere le immagini sacre (come in tutte le prigioni sovrabbondano Padre Pio, il Gesù misericordioso, la Madonna di Medjugorje, Papa Wojtyla e Madre Teresa di Calcutta) e men che meno i crocefissi. Di questi tempi però le carceri, e soprattutto Regina Coeli, sono il posto dei presepi, dove Gesù che nasce rallegra tutti, anche gli islamici. Nessuna protesta, nessun dubbio. Anche i romeni ortodossi, che non concepiscono ufficialmente il presepe, che è cosa tipicamente cattolica, costruiscono la scena ambientandola sotto architetture d’oro invece che nella povertà.
I presepi grandi sono dieci. Alcuni sono capolavori. Quello alla rotonda è del tipo napoletano. Lo hanno allestito alcuni partenopei, lo scheletro e le meravigliose statuine erano state donate alla famosa suor Paola, che le ha passate ai detenuti. Un agente che si intende di elettricità dà una mano. C'è una roccia, la capanna è in alto. Come la libertà, desiderata, a portata di mano, in salita però. Padre Vittorio, il cappellano, racconta che a Regina Coeli si preparano dal 1981, sezione per sezione e c’è una gara. Il direttore Mariani e il comandante Meschini guardano ammirati questa produzione artistica. Forniscono statuine, muschio e sabbia. Ma spesso le statuine le fabbricano, con strumenti ammessi qui dentro, i prigionieri. E c’è un amore tremendo nel volto di Gesù ricavato nel legno dolce con il tagliaunghie. Omar, senegalese di Dakar, nell’ottava sezione dice: «Mi piace il presepe, mette allegria». Un romeno è riuscito a farsi dare la carta igienica e un po’ di maccheroni. Li cuoce e stracuoce, poi modella la poltiglia, e ne escono statuine modellate con dita ruvide e delicate. Nelle celle poi ci sono i presepi individuali, conchiglie peruviane con chicchi che formano la Sacra Famiglia. C’è sempre molta acqua, a cascata, a lago, vera, dipinta. Si capisce che l’acqua è il simbolo della libertà, e Gesù guarda chi li guarda.
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