Verona, il sindaco rischia il posto per la casa agli spacciatori Rom

da Milano

L’ennesima tegola sulla testa del sindaco di Verona, Paolo Zanotto, arriva ancora una volta dagli zingari. La sua giunta di sinistra ora trema, incalzata dall’opposizione che ne chiede le dimissioni. L’ultima bega è un affare di droga, in precedenza fu una squallida miscela di pedofilia e malaffare. Tutto, comunque, intrecciato ai rom e a quel progetto del Comune per integrarli, aiutarli, soccorrerli a qualsiasi costo.
C’è voluto un anno di indagini, poi sono scattate le manette. Ventuno le ordinanze di custodia cautelare nell’ambito di un’inchiesta che ha sgominato una banda dedita al traffico di stupefacenti. Tra quelli finiti in carcere, anche quattro extracomunitari di etnia rom, aiutati dal Comune e residenti in un appartamento il cui affitto grava sulle casse dell’amministrazione. Nullafacenti, tutti con precedenti penali, scorrazzavano per la provincia di Verona a bordo di una Mercedes station wagon nuova di zecca. Spacciavano anche 500 dosi di cocaina al giorno. Soldi a palate, visto che nelle intercettazioni telefoniche grazie alle quali sono stati incastrati raccontavano che stavano costruendo in Romania ville con piscina. Qui, nella ricca e tranquilla Verona, nessuno li ha mai voluti i rom. Portano delinquenza, sporcizia, insicurezza, furti e droga. Nessuno li accoglie a braccia aperte, salvo il Comune ora subissato dalle critiche.
Tutto comincia tre anni fa: arrivano in massa una ventina di famiglie nomadi, molte di origine romena. Si accampano nei pressi dello stadio ma i cittadini non li vogliono. Partono le raccolte di firme, le petizioni, le proteste. Il sindaco Zanotto prende tempo fino a quando arriva l’ordine del prefetto: sgombero. E il Comune che fa? Mette in piedi un «progetto rom» per prendersi in carico gli zingari. Le famiglie che aderiscono al piano dell’amministrazione vengono piazzate in parte a Boscomantico, in parte nelle ex scuole Monsuà, in precedenza promesse all’Avis. I residenti si lamentano, i politici non sentono. Contadini, commercianti, cittadini comuni denunciano che aumentano furti e razzie nelle loro proprietà.
Nel 2005, poi, scoppia il caso «Gagio», dal nome dell’inchiesta che per la prima volta fa vacillare la giunta. Una storia di pedofilia e mazzette che si dipana attorno al campo di Boscomantico. Tre zingari finiscono dentro per aver venduto sei ragazzini, tra i quali alcuni figli, a dei pedofili. La città è sotto choc. Ma il colpo più duro per l’amministrazione arriva dal coinvolgimento di due operatori sociali che coordinano il progetto di integrazione, sponsorizzato con tanta passione dalla giunta. Chiedevano soldi ai nomadi per inserirli nella lista ufficiale dei beneficiati. Procuravano contratti di lavoro fittizi per ottenere il nulla osta per gli ingressi in Italia. Non solo: uno dei consulenti scelti dal Comune, anni prima era stato condannato per pedofilia. Il caso arriva alla Camera, partono le interrogazioni parlamentari. In consiglio comunale si susseguono sedute roventi. La Casa delle libertà chiede le dimissioni del sindaco e della giunta ma alla fine lascia soltanto l’assessore alle Politiche per l’accoglienza, Tito Brunelli. Il quale viene subito rimpiazzato e la linea politica non cambia di una virgola. L’attuale assessore, la diessina Stefania Sartori, ripete che «gli zingari vanno assistiti, così da renderli più autonomi».
Ieri, con il blitz anti spaccio, l’ultima grana per il primo cittadino. Il quale si difende: «Ora l’opposizione chiede la mia testa ma non ho nulla da rimproverarmi. Avevamo segnalato al questore i nostri sospetti sugli ultimi arrestati, quindi non abbiamo alcuna responsabilità. Anzi, chi ci critica dovrebbe elogiarci».

An, Lega e Forza Italia, invece, insistono: «Zanotto se ne vada e chieda scusa: soldi pubblici per aiutare gente che spaccia. Alcuni nomadi vivevano in alloggi pagati dal comune, si aiutino invece le persone realmente bisognose e davvero meritevoli di tutela». E il muro contro muro prosegue.

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