Veronesi candidato sindaco bruciato dalla sconfitta del Sì

Il professore è stato il simbolo del centrosinistra referendario. E così ora si riaprono i giochi per la sfida a Palazzo Marino

Gianandrea Zagato

Avevano puntato i riflettori sul referendum. E, in particolare, sul voto di Milano. Occasione d’oro per lanciare l’uomo simbolo della campagna, il professor Umberto Veronesi, come candidato sindaco: l’oncologo di fama che aveva sempre guardato con freddezza alla possibilità di essere l’anti-Albertini e che, in questi mesi, si era speso per il «sì». Disponibilità a macinare chilometri su chilometri da Nord a Sud, a stare in mezzo alla gente, fianco a fianco dei Ds per la battaglia referendaria che, poi, sarebbe stata sfruttata in salsa meneghina.
Se l’Italia e Milano non avessero voltato le spalle al referendum, ieri sera, Veronesi sarebbe stato presentato travestito da candidato indipendente, cioè non espressione dei partiti, che scende in campo «per necessità». Ma dalle urne è arrivata l’amara sorpresa per la lobby milanese di intellettuali, di tecnici aspiranti politici e di ex dalemiani riformistizzati come il segretario Ds, Franco Mirabelli, che lo volevano inquilino di Palazzo Marino. E che, appena cinque giorni fa, si sentivano con le chiavi del Comune già in tasca mentre Veronesi si scambiava affettuosità con Piero Fassino, sotto lo sguardo complice di Filippo Penati. Fotografia referendaria pre-fallimento da dimenticare, da strappare e gettare nel cestino: lui, il numero uno dell’Italia scientifica, è stato sconfitto.
Risultato ancora più bruciante per i suoi supporter che, adesso, come era stato concordato con gli altri partiti, dovranno aspettare settembre per ufficializzare il candidato. Che, politicamente, ha un solo significato: bruciarlo tra veti incrociati e il tritacarne dei toto-nomi sui giornali. Timori assai sgraditi al partito di Fassino dove non c’è mai stata voglia di aprire un dibattito su Veronesi, «l’avevamo già pensato come anti-Formigoni, poi avevamo deciso di non sprecare il suo peso elettorale» ammette uno che conta. E che sperava in un buon risultato referendario per «accelerare il tempo delle decisioni». Speranza andata delusa, con la certezza che «adesso la Margherita avanzerà dubbi e Rifondazione storcerà il naso perché Veronesi si trova nel comitato di saggi del presidente della Regione». Come dire: inizia la stagione della verbosa disposizione in cui il centrosinistra fa mangiare polvere agli avversari disquisendo su nomi, definizioni e aggettivi. Anche nei confronti dell’ottantenne Veronesi che, pure i nemici, sostengono sia capace di fare i miracoli. Esempio? Il centro europeo per la ricerca biomedica avanzata: sogno da quattrocento milioni di euro che cresce sui terreni del Parco Sud, a due passi dal suo Istituto europeo di oncologia. Sfida da giganti che Veronesi gioca dimostrando che lui può davvero tutto. Anche se come testimonial del «sì» ha fallito.
E pure se, in verità, dai sondaggi esce con le ossa rotte, testimonianza offerta on line da «cambiamilano.org»: dopo mille e rotti voti, l’oncologo è all’undicesimo posto nelle preferenze dei milanesi che guardano a sinistra. Davanti a lui, in rigoroso ordine di classifica: Ferruccio De Bortoli, Pier Luigi Bersani e Francesco Saverio Borrelli. E, perfino, un pasdaran di Radio Popolare, Cristiano Valli.

Primarie da salotto via internet che la dicono lunga sul futuro del centrosinistra meneghino: più passa il tempo e più si trasferiranno a Milano le tensioni romane. Quelle che i Ds speravano di evitare per proteggere Veronesi.

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