Economia

Verso un sistema misto pubblico-privato

L’aumento dei disastri naturali mette in difficoltà il sistema di finanziamento pubblico delle aree sinistrate. E spinge a puntare maggiormente sulla prevenzione, con l’intervento strutturale delle compagnie. Come? Se ne è parlato in una tavola rotonda organizzata dal Giornale delle Assicurazioni

Verso un sistema misto pubblico-privato

Sono 22 milioni gli italiani che vivono in territori a rischio sismico. I comuni interessati da frane e da alluvioni sono 5.596 su 8.101. Due dati, tra i molti che si potrebbero citare, che indicano chiaramente come il dissesto idrogeologico e gli eventi tellurici rappresentino uno dei problemi più gravi del nostro Paese, dal punto di vista dell’alto numero delle vittime e per i costi, quantificabili in 3,5 miliardi l’anno. Eppure anche in questo campo l’Italia è sottoassicurata. Solo per fare un esempio, all’Aquila solo 400 milioni di euro di danni erano coperti da polizze su un totale di oltre 10 miliardi, il 4% della perdita totale contro una media mondiale del 20%. Non si fa opera di prevenzione, di messa in sicurezza di abitazione e di aziende. L’Italia è uno dei pochi Stati avanzati a essere privo di una regolamentazione legislativa sulla copertura economica dei danni provocati da catastrofi naturali. Lo Stato ricorre a decreti di urgenza ogni volta che si verifica una calamità, generando costi troppo elevati e non assicurando servizi adeguati ai cittadini che attendono rimborsi non sempre proporzionali ai danni realmente subiti. Il mondo assicurativo ha cercato di sensibilizzare la classe politica su questo tema, mentre Ania ha elaborato uno studio che quantifica i possibili danni e presenta le possibili soluzioni dei problemi innescati dalle calamità naturali.

Molto si è discusso e si discute sull’introduzione dell’obbligatorietà dell’assicurazione contro le catastrofi naturali o di un’estensione obbligatoria a questi eventi delle coperture incendio. È una strada praticabile? Che cosa devono o possono fare le compagnie? A queste domande ha cercato di rispondere la tavola rotonda, organizzata, con il supporto del gruppo Lercari, dal Giornale delle Assicurazioni, dal titolo Coperture dei rischi catastrofali in Italia: dati, soluzioni, problemi. Al dibattito, moderato da Angela Maria Scullica, direttore del Giornale delle Assicurazioni e di BancaFinanza, e da Luciano Fumagalli, hanno partecipato Giorgio Bidoli, responsabile global corporate & specialty di Allianz; Angelo Camesasca, responsabile relazioni istituzionali di Cineas; Fabrizio Corte, responsabile settore aziende e professionisti, settore danni, di Reale Mutua; Paolo Corti, responsabile assunzione property e liability middle market di Assicurazioni Generali; Sergio Ginocchietti, dirigente liquidazione cose di Unipol; Daniele Guglielmetti, responsabile sinistri di sede di Milano Assicurazioni, e Vittorio Lercari, presidente del’omonimo gruppo.

Domanda. La non percezione o la sottovalutazione del rischio rappresenta un grave problema. Quasi un fatalismo che permane anche nei confronti di fenomeni, che quando accadono, provocano pesanti danni, nei confronti dei quali non si attuano neppure opere di prevenzione sistematiche. Come mai?
Camesasca. Ci sono alcuni luoghi comuni sugli italiani e le coperture dei rischi da calamità naturali. È assolutamente vero che manca una cultura di prevenzione diffusa: gli italiani non considerano ancora i rischi reali e fanno affidamento sulla scarsa probabilità che possano essere proprio loro le vittime di un evento avverso. Uno stato d’animo che si riscontra anche a livello di imprese: in Veneto, solo per fare un esempio, su 3.100 attività produttive colpite dall’alluvione dell’autunno 2010, meno del 10% aveva una copertura assicurativa contro le catastrofi ambientali. E se la disgrazia avviene ci si aspetta il naturale intervento dello Stato. Tutto ciò non significa che, come generalmente si è portati a pensare, gli italiani non vogliano assicurarsi e pagare un premio per proteggersi. Al contrario, sono disponibili a spendere. È il risultato forse più sorprendente dell’indagine Calamità naturali: assistenzialismo o prevenzione? realizzata da Cineas, attraverso l’intervista di un campione di 1.200 persone residenti in aree a rischio sismico, franoso o alluvionale in tutto il territorio nazionale. Il 73% del campione ha vissuto almeno una volta o più volte una situazione di calamità naturale; il 49% ha subito danni, chi più ingenti e chi più contenuti. Di questi ultimi, un terzo circa ha ricevuto un contributo pubblico di risarcimento dei danni con un tempo medio di attesa di circa cinque anni. Non a caso il 75% si è dichiarato insoddisfatto dell’intervento statale, e non solo per i tempi di attesa. La maggior parte giudica negativamente il modo di operare degli organi pubblici, basato sul superamento delle difficoltà nel momento in cui si presentano. Cosa che, a giudizio della grande maggioranza degli intervistati, non incentiva i Comuni a realizzare una corretta pianificazione per attuare misure preventive; non consente di monitorare in modo trasparente i criteri per l’erogazione dei contributi; non stabilisce la certezza di ricevere un aiuto adeguato al danno subito, implica tempistiche spesso eccessivamente lunghe per l’erogazione dei contributi. Il 54% del campione ritiene che una copertura assicurativa potrebbe rappresentare una soluzione alla questione e si dichiara propenso a sottoscrivere una polizza (con un premio intorno ai 200 euro) contro i rischi da calamità naturali per assicurare l’abitazione. E se lo Stato si facesse carico di prevedere una defiscalizzazione dell’importo annuale, la percentuale di coloro che è pronto a sottoscrivere un’assicurazione cresce addirittura fino a raggiungere il 72%.

D. Un risultato inatteso in un Paese largamente sottoassicurato. Anche dal sondaggio mi sembra emergere comunque come fondamentale l’intervento statale, anche solo nel ruolo di incentivatore…
Camesasca. Gli esperti del settore e non ultimo lo studio dell’Ania ritengono che una collaborazione tra pubblico e privato sarebbe la soluzione ideale per risolvere i problemi legati alla protezione dai danni catastrofali. Le assicurazioni sono tecnicamente già pronte a gestire questo comparto assicurativo ma è necessaria la collaborazione dello Stato. Con vantaggi per tutti: le compagnie amplierebbero il loro mercato potenziale, divenuto ormai asfittico; lo Stato non sarebbe più chiamato a interventi economici non coperti da adeguati stanziamenti in bilancio, per far fronte alle conseguenze dei ricorrenti eventi calamitosi; i cittadini, attraverso una gestione controllata dei danni, otterrebbero indennizzi equi e più rapidi.

Ginocchietti. Oggettivamente, non possiamo dire che il mondo assicurativo non sia intervenuto sul problema delle catastrofi naturali: Cineas, Ania, ma anche le singole compagnie, hanno promosso dibattiti, conferenze, istituito commissioni di studio dalle quali sono scaturite analisi e proposte concrete. Basta andare sul sito dell’Ania per trovare in proposito un documento molto corposo e tecnicamente dettagliato che riepiloga la posizione del mercato assicurativo in materia. Il tema delle calamità naturali, al di là del dolore per le perdite umane, ha anche un alto costo economico per il Paese. In un territorio a forte rischio idrogeologico e sismico come l’Italia, anche quando non accadono eventi eclatanti, la spesa per riparare i danni delle calamità naturali si è aggirato mediamente sui 3,5 miliardi di euro l’anno. Una cifra enorme per il nostro bilancio statale. Non avere inserito, anche nell’ultima manovra finanziaria del 2011 dello scorso agosto, una legge che permettesse l’avvio di una partnership pubblico-privato in questo ambito così importante è stato, quindi, un grave errore. Un’altra occasione mancata. La nostra classe politica non ha dimostrato a mio avviso di avere una sufficiente cultura assicurativa e di risk management; un esempio evidente lo abbiamo avuto sugli organi di informazione proprio nelle scorse settimane, quando a seguito dei tragici eventi alluvionali di Liguria e Toscana ci si è riferiti con un approccio giustificativo più alle conseguenze dei cambiamenti climatici piuttosto che alle carenze di investimenti in prevenzione o di controllo nella pianificazione urbanistica. Quando i politici pensano a una polizza obbligatoria o semi-obbligatoria immaginano che i cittadini la percepiranno (come accade nella Rc auto) come un’altra tassa, cosa che farebbe diminuire il loro consenso. Eppure non è così, perché già oggi i contributi dello Stato vengono di fatto finanziati attraverso la fiscalità generale, oltre a essere erogati con tempistica e modalità certamente da rendere più efficienti. È dunque un problema di conoscenza e di cultura, sulle quali bisogna ancora lavorare molto. Le compagnie assicurative non potranno tuttavia agire da sole, sia dal punto di vista economico, sia da quello della diffusione della cultura del rischio, perché occorrerebbero ingenti risorse. Per far fronte ai futuri eventi catastrofali, che sono certi nel nostro Paese, anche se non ne conosciamo i tempi e i periodi di ritorno, è indispensabile quindi fare sistema: Stato, assicurazioni, organizzazioni dei consumatori, periti, ordini professionali devono realizzare un progetto comune. La via più attuabile sarebbe la creazione di un sistema misto pubblico-privato in cui una parte dei costi venga socializzato (diviso cioè tra le aree più a rischio e quelle meno a rischio) e una parte perequato alle caratteristiche peculiari del rischio stesso.

Corte. Certamente sarebbe necessario aprire un tavolo di confronto con i politici e il governo per trovare soluzioni efficaci. Le cose però non sono semplici. In Francia e in Spagna è stata effettuata una pianificazione sia degli interventi di prevenzione delle calamità naturali sia del trasferimento del rischio al sistema assicurativo. Noi che, contrariamente a spagnoli e francesi, siamo fortemente esposti ai fenomeni sismici abbiamo fatto poco di concreto in questo campo. Un altro fattore negativo della situazione italiana è l’alto grado di sottoassicurazione, profondamente radicata in Italia. Ania, in base a un’indagine alla quale ha partecipato un campione significativo di compagnie, stima che oggi la percentuale di case assicurate contro l’incendio rappresenta il 44% delle unità abitative complessive censite da Istat, e solo lo 0,4% delle polizze, in termini di somme assicurate, ha l’estensione di copertura al rischio terremoto. Da un’altra inchiesta di Gfk Eurisko - secondo la quale il 26,5% dei capifamiglia italiani ha una polizza assicurativa sulla propria casa - emerge che le coperture assicurative per l’abitazione sono più diffuse al nord, con Friuli e Veneto che superano il 50%. Numeri che mettono in luce una grande difformità tra le zone d’Italia e che, per ovvi motivi, non prendono in considerazione l’abusivismo edilizio, endemico e diffusissimo in alcune regioni. Se questa è la situazione, rendere obbligatoria l’estensione terremoto o catastrofi naturali per chi sottoscrive una polizza casa o incendio potrebbe non bastare, e la capacità aggiuntiva del sistema assicurativo potrebbe essere anche di molto inferiore a quella necessaria. Il mercato c’è, la domanda, anche se inespressa, è alta, ma solo con l’intervento pubblico si può risolvere il problema delle polizze contro le calamità naturali.

D. Le compagnie non possono fare qualcosa di più in questo campo: innovare i prodotti, renderli più semplici?
Lercari. L’Italia, a differenza di altri Paesi europei, per la sua conformazione geologica e la sua posizione geografica è esposta a possibili eventi catastrofali di natura meteorologica (sovraccarichi di neve, tempeste e uragani, vento e mareggiate, alluvioni, inondazioni), e geologica (terremoti ed eruzioni vulcaniche, maremoti ). E questo a prescindere da tutte le recriminazioni sulla mancata manutenzione e messa in sicurezza del territorio, che in alcuni casi viene a essere ininfluente. La scarsa opera di prevenzione ha però portato alla costituzione e al consolidamento di un servizio di protezione civile che nelle calamità naturali è intervenuto con efficienza e che tutto il mondo ci invidia. Già oggi sul mercato assicurativo sono reperibili valide coperture per ogni tipo di evento naturale, anche se questo tipo di coperture è ancora poco richiesto per i rischi commerciali, industriali e civili perché, a mio giudizio, sussiste una scarsa sensibilità nei confronti di una cultura della prevenzione. Lo studio condotto dall’Ania ha valutato la possibilità di introdurre un sistema di coperture assicurative contro le catastrofi naturali, con particolare riferimento al patrimonio abitativo civile, ponendosi alcune domande in tema di ammontare del danno annuo alle abitazioni dovuto a eventi sismici e alluvionali e sua distribuzione probabilistica sul territorio; di fabbisogno di capacità assicurativa (e riassicurativa) del mercato, per assicurare il patrimonio abitativo in considerazione del fatto che, a fronte di un premio certo, il sistema assicurativo dovrebbe impegnarsi a risarcire danni aleatori che, nel caso delle catastrofi naturali, potrebbero ammontare a innumerevoli multipli del premio; e di come proporre, anche dal punto di vista legislativo, questo tipo di coperture assicurative in forma obbligatoria o semiobbligatoria. Non c’è dubbio, infatti, che l’utenza debba abbandonare l’idea che le polizze anticatastrofali siano una sorta di ulteriore tassazione: famiglie e imprenditori devono avere la consapevolezza che più del 75% del nostro territorio è esposto al rischio di calamità naturali, situazione da cui deriva l’oggettiva necessità di una copertura assicurativa a 360 gradi a tutela dei propri beni. Da parte sua, il sistema peritale si è da tempo organizzato per far fronte ai danni che derivano dagli eventi ricorrenti di natura meteorologica e geologica. Questa circostanza è ulteriormente provata dal contributo dato, per esempio, dal gruppo Lercari in occasione del terremoto in Abruzzo e degli eventi alluvionali in genere, in occasione dei quali solo organizzazioni fortemente strutturate e dotate di contingency plan si sono dimostrate in grado di fronteggiare emergenze e picchi quantitativi connaturati a tale tipologia di eventi. Spero che tutto il lavoro svolto da periti e compagnie nel campo delle catastrofi naturali non si dissolva e che si possa giungere, nell’interesse dei cittadini, a una forma di copertura assicurativa, magari anche parziale, di appoggio alla collettività in termini di risarcimento con tempi rapidi e certi.

Corti. Il problema principale è costituito dalle risorse complessive del sistema. L’Ania, nel suo ultimo studio, ha calcolato che, se si vuole assicurare il patrimonio abitativo italiano al suo valore di ricostruzione per il rischio sismico e alluvionale, la capacità necessaria è di circa 34,2 miliardi. Parte di questa capacità potrebbe essere messa a disposizione dal mercato assicurativo italiano con ulteriore capacità presumibilmente disponibile nel mercato riassicurativo internazionale. Oltre a ciò, è evidente che occorrerebbero altre, e non marginali, risorse. Introducendo franchigie e scoperti, le risorse si potrebbero abbassare di qualche punto percentuale, ma la dimensione dei capitali necessari non cambierebbe. È evidente che il settore assicurativo da solo non ha i mezzi per sostenere la copertura completa di questi rischi. Inoltre, purtroppo, le polizze anti-catastrofali non sono attualmente un business profittevole. Il settore assicurativo è comunque consapevole di essere uno degli attori protagonisti per affrontare e risolvere questo problema e non intende sottrarsi al suo ruolo, mettendo a disposizione le proprie conoscenze e risorse, ovviamente in una logica di sostenibilità tecnica complessiva del sistema. Proteggere i cittadini dalle conseguenze di inondazioni, alluvioni, fenomeni sismici, ai quali la maggioranza del nostro territorio nazionale è esposto, e offrire un servizio più efficiente della gestione dei sinistri, rientra nel ruolo dell’assicuratore, purché sia possibile trovare un equilibrio tra le esposizioni a rischio e il costo per la copertura di quelle esposizioni. Per non gravare con tassazioni eccessive sulle popolazioni residenti nelle zone maggiormente a rischio, e non potendo escluderle dalla copertura in un programma di copertura esteso a livello nazionale, sarebbe opportuno operare, almeno in parte, in base a un concetto di mutualità tipico dell’assicurazione. Si potrebbe pensare a mutualizzare, per esempio, solo una parte del rischio introducendo un sistema misto pubblico-privato con partecipazione dello Stato, come avviene in altri Paesi. In questa ipotesi, se la diffusione della copertura dovesse essere elevata, in quanto legata a un regime semi-obbligatorio, il prezzo mutualistico risulterebbe essere accessibile. In Francia, a esempio, con una base assicurativa elevata, il premio addizionale per la garanzia assicurativa contro le catastrofi naturali è una percentuale abbastanza contenuta del premio richiesto per la copertura property di base, perché le imprese assicurative private possono cedere il rischio al riassicuratore pubblico, in modo proporzionale o con una copertura del tipo stop loss. Questo non vuol dire che la soluzione francese sia la migliore possibile, ma che questa, come altre forme esistenti in vari Paesi europei ed extra-europei, potrebbe essere presa come spunto per creare un regime assicurativo appropriato. L’essenziale è che si arrivi a un sistema che risolva, finalmente, questo annoso problema. Per questo è necessario che le compagnie si impegnino ancora di più nell’opera di informazione e di sensibilizzazione del mercato su questo tema.

D. È indispensabile un sistema misto, pubblico-privato, con polizze obbligatorie?
Bidoli. Che esista una scarsa cultura assicurativa nel nostro Paese si sa da tempo. Anche a livello aziendale, salvo le multinazionali e quelle che per dimensione rientrano nel cosiddetto large corporate, spesso non ci si rende conto dei rischi ai quali l’attività è esposta. E quindi non si sottoscrivono polizze adeguate, ma, fatto ancora più grave, si trascura la prevenzione, in special modo in periodi di crisi. È una situazione preoccupante perché la sismicità del territorio è conosciuta, mappata, mentre su alluvioni e frane - fenomeni oggi aggravati dalle precipitazioni intense in un breve periodo, di tipo tropicale, probabilmente provocate dai cambiamenti climatici in atto - resta ancora molto da studiare. L’impegno delle compagnie nel campo delle calamità naturali, che non è mai mancato, deve continuare in due direzioni: nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica a ogni livello per spingere la classe politica a varare misure necessarie e ormai improcrastinabili, e nella proposta di soluzioni concrete. Io penso che sia chiaro a tutti che non si debba inventare un altro ente separato dall’assicuratore istituzionale per le coperture delle calamità: l’industria assicurativa ha il know how e gli strumenti, compresi i network agenziali e peritali distribuiti in modo capillare sul territorio, per far fronte a ogni evento. Mancano però le risorse finanziarie, in gergo assicurativo la capacità, per coprire complessivamente i rischi catastrofali intesi in senso lato (terremoti, alluvioni, frane, smottamenti, tsunami, eruzioni vulcaniche e via dicendo), anche perché il mercato sarebbe preparato solo a coprire una parte di questi eventi, ma è attualmente antiselettivo. Si potrebbe pensare a una copertura obbligatoria, ma verrebbe vissuta come una patrimoniale, una tassa in più (come viene considerata la Rc auto), e ci vorrebbe anche un governo e un parlamento molto autorevoli e forti per imporla. Più percorribile è la strada delle soluzioni semi-obbligatorie già presenti in molti stati dell’Ue. In Spagna, per esempio, chi stipula una polizza incendio deve sottoscrivere una clausola di garanzia contro le catastrofi naturali. Il flusso dei premi incassati finanzia il Consorcio de compensación de seguros, ente statale autonomo che gestisce i rischi catastrofali, ed è tenuto a mantenere adeguate riserve tecniche, oltre che un margine di solvibilità. Le polizze emesse vengono cedute in riassicurazione al 100% al Consorcio, il quale ristorna il 5% alle compagnie a titolo di commissione di distribuzione. Lo Stato ha il ruolo di riassicuratore di ultima istanza in caso di insufficienza dei mezzi finanziari del consorzio. Si tratta di un modello che potrebbe essere applicato anche da noi, se ci fosse la volontà politica di risolvere questo grave problema.

Guglielmetti. Le ipotesi elaborate da diversi studi, come quelli di Ania e Cineas, mettono sul tavolo diverse soluzioni. La creazione di un sistema misto nel quale una parte dei costi venga socializzata (divisa tra le aree più a esposte e quelle più sicure) e un’altra parte perequata alle qualità del rischio, o l’introduzione dell’obbligatorietà della polizza incendio porterebbero a mutualizzare il costo sociale e garantire anche in futuro le coperture per i danni da catastrofi ambientali. Si tratta di soluzioni percorribili che però devono tenere conto delle realtà normative, come Solvency 2, che di fatto riducono la capacità delle compagnie di assumere rischi. Altra considerazione importante: nella protezione dalle calamità naturali bisogna percorrere la via della solidarietà: chi vive in un territorio sicuro dovrebbe contribuire alla protezione di chi abita in territori statisticamente più colpiti dalle catastrofi. Solo così si potrebbero non differenziare i prezzi, che sarebbero più onerosi per le zone a rischio, e rendere le polizze accessibili a tutti. Un modello assicurativo con un buon livello di mutualità per funzionare, però, ha bisogno di un riassicuratore pubblico al quale trasferire il rischio. Il ruolo delle compagnie sarebbe in questo caso quello di inserire la garanzia contro le catastrofi naturali nelle polizze property, di commercializzarle e amministrarle girando la quota di premio che riguarda la garanzia al riassicuratore statale. Il modello pubblico-privato avrebbe una sua validità solo se la diffusione delle coperture delle calamità naturali fosse capillare, immensamente più diffusa di quello che è oggi. Occorre renderle obbligatorie? Io non vorrei che si pensasse a un’altra tassa sulla casa. Forse occorre dare forti incentivi. I premi relativi alle coperture assicurative property nel nostro Paese sono tassate al 22,25%, la percentuale più alta di tutta Europa.

La defiscalizzazione anche totale di queste coperture potrebbe essere un buon incentivo alla sottoscrizione.

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