Parole severe rivolte a Mosca per la sua «azione militare sproporzionata», ma nessuna rottura politica: per ora solo la constatazione che i rapporti tra Nato e Russia non potranno più essere quelli di prima. È questo, in estrema sintesi, il prodotto del vertice dei 26 ministri degli Esteri dell’Alleanza Atlantica che si è tenuto ieri a Bruxelles.
«Abbiamo stabilito che nei rapporti con la Russia non è possibile continuare con il business as usual», si legge nel comunicato finale. Ciò significa che il Consiglio Nato-Russia, istituito nel 2002 per offrire un ambito di discussione sulle questioni e i contrasti che sorgono nella partnership, non sarà sospeso come Washington avrebbe preferito, ma dovrà svolgere la sua funzione per permettere a Mosca di «dimostrare, con le parole e con i fatti, il suo continuo impegno ai principi che abbiamo concordato e che sono alle base dalla nostra relazione».
Dietro queste parole si cela un disaccordo tra le vedute del fronte più risoluto contro gli “eccessi” compiuti in Georgia dalla Russia (Stati Uniti, Gran Bretagna e gran parte dei Paesi dell’Europa orientale) e quelle degli europei più orientati al dialogo, tra i quali svolge un ruolo attivo anche l’Italia. Secondo il ministro degli Esteri Franco Frattini «il valore aggiunto della riunione della Nato di Bruxelles è stato quello di aver raggiunto l’unità e di essere riusciti a riportare gli amici americani alle posizioni ferme ed equilibrate degli europei».
Frattini ha ammesso che sono occorse «quattro ore di discussione per portare gli Stati Uniti sulla posizione della maggioranza degli europei». E tanto basta per permettere al rappresentante permanente di Mosca presso la Nato Dmitry Rogosin di affermare che a Bruxelles sia mancata l’unità d’intenti: «Gli Usa possono fare finta di avere imposto il loro punto di vista - ha detto l’ambasciatore russo -, ma noi constatiamo che non hanno raggiunto alcun risultato».
In realtà la Nato ha espresso posizioni molto chiare e severe. La Russia viene invitata a «prendere azioni immediate per il ritiro delle sue truppe» dalla Georgia in base all’accordo in sei punti negoziato da Nicolas Sarkozy a nome dell’Ue. L’azione militare russa viene definita «sproporzionata e non in linea col suo mandato di peacekeeping». I ministri degli Esteri della Nato richiamano inoltre «l’indipendenza, la sovranità e l’integrità della Georgia», e danno il via libera ad una commissione Nato-Georgia, che servirà anche per fare una valutazione dei danni subiti dal Paese caucasico nel corso del conflitto. Saakashvili incassa infine la riconferma dell’impegno assunto in aprile a Bucarest sulla prospettiva di adesione di Tbilisi all’Alleanza: come ha ribadito ieri il segretario generale De Hoop Scheffer, «un giorno la Georgia entrerà a far parte della Nato». Quel giorno potrebbe venire in dicembre, al prossimo vertice Nato, ma anche molto più tardi.
Nessuna porta sbattuta in faccia a Mosca dunque, nessun ritorno alla guerra fredda, sebbene a Bruxelles siano stati registrati con preoccupazione diversi passi indietro. Riscontrabili tra l’altro nei toni usati dai responsabili russi.
Se infatti il ministro degli Esteri Lavrov chiarisce che anche Mosca non vuole più rapporti con la Nato uguali a prima ma precisa che ciò non significa il ritorno della guerra fredda, il già citato ambasciatore Rogozin (richiamato ieri sera in patria «per consultazioni») torna a paragonare il presidente georgiano Saakashvili a Saddam Hussein e a Hitler e aggiunge: «Se la Nato vuole collaborare con i criminali non possiamo fermarla, ma non coopereremo più con un’organizzazione che lavora con i criminali».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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