Una volta una bambina chiese: «Mamma cosa sono i tiberiani?». Rispose la signora, nell’indicare una piccola struttura bianca nella via: «Si chiamano vespasiani e sono quelli». Quarant’anni sono passati da quel giorno e ancora di più da quei giorni in cui le toilette con nome latineggiante erano così linde che i nostri nonni ci facevano persino la doccia. Talmente tanto tempo che oggi i vespasiani non esistono più, nemmeno nella cosiddetta memoria collettiva. Se giri per piazza Duomo facendo la gnorri e avanzando solo la semplice richiesta: «Scusi, dove sono i bagni pubblici?», può capitare di imbatterti in un tizio simpatico come Antonio che sgrana gli occhi per lo stupore e risponde: «Tutti i locali di Milano sono un bagno pubblico! Entri e ti servi per quel che ti occorre. Vada alla Feltrinelli».
Controprova. Varchiamo la portavetri della Mondadori che confina con il Motta. Stessa domanda alla cassiera Annalisa «Scenda le scale a sinistra e lì c’è il bagno - consiglia - tra la libreria e il caffè». Ma è pubblico? Sorride Annalisa tra l’imbarazzo e l’incredulità. «I bagni dei negozi sono considerati di tutti, non vedo che problema ci sia».
Invece il problema c’è. Eccome. Per Alfonso del caffè Aperol, ad esempio. «Siamo assediati da coloro che hanno bisogno di una toilette, perché non esistono strutture adeguate che soddisfino le esigenze dei passanti. Sentiamo la necessità di un ripristino del vecchio vespasiano, anche perché in coscienza non neghiamo mai il permesso. Spesso ci sono le code davanti alla porta del fatidico bisogno, una ressa che ne impedisce l’uso agli stessi clienti».
E’ urgente il bisogno, anche per il dottor Giorgio Cicconali, direttore del Servizio igiene pubblica di Milano. «Lei mette il dito nella piaga, soprattutto in previsione di Expo 2015. Da tempo stiamo studiando l’argomento. E’ stato un censimento insieme al Comune e all’Atm dei servizi disponibili in città e saremmo per il ripristino del vespasiano, ovviamente in versione moderna, perché ciò che esiste, compreso il privato, non basta a far fronte alla necessità».
Come modernizzarci allora? «Ci sono paesi quali l’Australia e la nuova Zelanda che ti lasciano a bocca aperta. Se clicchi su internet trovi un elenco dettagliato dei servizi. Dobbiammo spingere per attivare sia una maggiore collaborazione con gli esercizi privati, allargando lo spettro dei luoghi a disposizione, ovvero non solo fermandoci ai bar ma pensare ai grandi magazzini e poi è impellente progettare insieme all’amministrazione il ripristino di strutture adeguate, perché se c’è carenza oggi che siamo nel 2011, figuriamoci cosa accadrà fra quattro anni quando milioni di persone sbarcheranno qui!».
Ce la faremo, senza parlarci solo addosso come sempre? «Lo spero - conferma Riccardo De Corato, vicepresidente del Consiglio Comunale - è un dilemma che ci fa discutere da ben quindici anni. Non è che in città i servizi pubblici manchino, ce ne saranno un centinaio di toilette autopulenti ma sono covo di spacciatori e soprattutto in rovina, perché in Italia ciò che è pubblico viene automaticamente devastato. Questa è la verità».
Beh, non solo ciò che è pubblico. «Ormai i bagni dei bar sono presi d’assedio senza alcun ritegno» risponde la cassiera al Caffè Sforzesco in via Dante. Si arrabbia. «Il cliente si degna almeno di chiedere.
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