RomaMonti non riesce a sciogliere il rebus dei sottosegretari. Il premier, che avrebbe dovuto e voluto completare la sua squadra di governo già ieri, s’è incagliato. Altro che riforme. Il Professore è già impantanato nella pozzanghera politica: troppi veti incrociati, troppi «niet» dai partiti, troppi mugugni. Così, tutto viene ulteriormente rimandato presumibilmente a lunedì prossimo dopo un week end di lavoro stile manuale Cencelli. Troppo complicato raggiungere un accordo su quei 30/33 nomi che, tra vice ministri (5) e sottosegretari (25/28), dovrebbero perfezionare la rosa dell’esecutivo. Sullo sfondo resta l’accordo non dichiarato della spartizione in quote: 40-40-20, ossia le percentuali che «spetterebbero» a Pdl, Pd e Udc, partiti che formano la maggioranza che sostiene il governo. È vero che si sarebbe deciso di scegliere tra «tecnici d’area», ma dietro quell’«area» si celano non pochi sponsor o veti da parte dei partiti. Monti cerca di sciogliere il nodo, ma la matassa sembra essere più ingarbugliata del previsto. Il premier sente i leader di partito e accoglie le proposte di tutti ma la quadra ancora non c’è. Sebbene venga smentito un vertice super segreto a Palazzo Giustiniani tra Monti e il cosiddetto «ABC», vale a dire i leader di Pdl, Pd e Udc (Alfano, Bersani e Casini), di fatto il premier tiene costantemente aperti i canali di comunicazione, soprattutto attraverso il «suo Gianni Letta», il sottosegretario alla presidenza, Antonio Catricalà. Tutti tecnici d’area, si diceva, anche se Monti li vorrebbe il meno possibile connotati politicamente. Con alcune eccezioni: al dicastero dei Rapporti con il Parlamento sarebbe meglio piazzare uomini in gradi di conoscere alla perfezione i complessi ingranaggi della macchina delle due Camere. Ecco perché a ricoprire quei ruoli potrebbero arrivare ex deputati o senatori. Nei giorni scorsi s’è anche fatto il nome di Francesco D’Onofrio, vecchio democristiano ed ex ministro della Pubblica istruzione, sponsorizzato dall’Udc.
Ai Beni culturali si parla di Salvatore Nastasi, di Marco Simeon e di Umberto Croppi, quest’ultimo sponsorizzato da Fini. All’Istruzione i papabili sono Alessandro Schiesaro (quota Pd) e Gianni Bocchieri (quota Pdl). Delicatissima la partita attorno alle pedine da piazzare al ministero dell’Economia. Monti gradirebbe, come suo vice in via XX Settembre, il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli. E qui c’è un’altra considerazione da fare: attualmente Grilli percepisce circa un milione di euro l’anno. Qualora dovesse accettare il viceministero, il suo stipendio si livellerebbe a circa 100mila euro l’anno. Perderebbe uno «zero» ma molto, molto pesante. Per quanto riguarda i sottosegretari si mormora di Marcello Messori, di Francesco Tesauro o di Vieri Ceriani.
Grandi discussioni anche sui sottosegretariati del ministero dello Sviluppo, retto dal banchiere Corrado Passera. Si vocifera di Tullio Fanelli, ma anche di Sergio Garribba e Luigi Mastrobuono, ora direttore generale di Confagricoltura ma in precedenza capo di gabinetto di Scajola e Romani. Mentre già ci sarebbero polemiche sull’ipotesi dell’assegnazione del viceministero a Mario Ciaccia, manager di Banca Intesa. Ecco perché salgono le quotazioni di Stefano Zamagni, cattolico, professore ed economista, molto vicino a Prodi. Delicata anche la questione relativa al sottosegretario alle Comunicazioni dove circolano due nomi: quello di Antonio Martusciello e quello di Roberto Viola, attuale segretario generale Agcom e dato in pole position.
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