Il veto della sinistra allo sconto Ici per tutti

Torna l’ipotesi di aumentare le tasse dal 12,5 al 20% sulle rendite finanziarie

da Roma

In commissione Finanze al Senato, Vincenzo Visco svela un retroscena del Consiglio dei ministri del 28 settembre, quello che ha approvato la legge finanziaria. Natale D’Amico (Liberaldemocratici) contesta l’applicazione dello sconto Ici in base a un reddito inferiore ai 50mila euro all’anno. «L’Ici è una patrimoniale - dice - e le patrimoniali non si applicano in funzione del reddito». A questo punto, prende la parola il viceministro all’Economia. «Cosa volete che vi dica - sospira rivolto ai senatori -, lo sconto Ici sulle prime case è entrato al Consiglio dei ministri senza tetti di reddito. Poi... Quella dei 50mila euro di reddito è stata una scelta politica». Chiesta, molto probabilmente, dai ministri della sinistra estrema. E D’Amico, in replica, annuncia al governo che non voterà a favore se resta il tetto di reddito per gli sconti Ici.
Ma quella della patrimoniale sulla casa non è l’unica grana della maggioranza a Palazzo Madama. Durante un vertice dei capigruppo della maggioranza torna a prendere corpo l’ipotesi di un aumento della tassazione sulle rendite finanziarie. Il maggior gettito, circa 2 miliardi, dovrebbe essere utilizzato - secondo quanto riferito da Paolo Butti (Sinistra democratica) - per ridurre il prelievo fiscale sui lavoratori dipendenti. L’ipotesi fa parte del pacchetto di emendamenti alla manovra anticipati martedì dalla sinistra estrema. Su iniziative di questo tipo, ricorda Vannino Chiti, ministro dei Rapporti con il Parlamento, però c’è l’opposizione del presidente del Consiglio. Per non parlare del fatto che l’ala centrista della maggioranza ha già anticipato barricate contro l’aumento dal 12,5 al 20% dell’aliquota sulle rendite finanziarie.
Ma non è finita. Alla Camera Giulio Santagata annuncia che il bonus per gli incapienti (cioè i contribuenti che non pagano le tasse per i bassi redditi dichiarati) è solo «la prima fase di un’operazione più ampia di restituzione fiscale». Forse il ministro per l’Attuazione del Programma ha ecceduto in ottimismo. Dai corridoi dell’Agenzia delle entrate filtrano grida di dolore per l’operazione incapienti. Gli uffici non sono nelle condizioni di individuare materialmente chi sono i contribuenti che hanno redditi così bassi da non pagare le tasse. E per un motivo semplice. Al di là dei pensionati (che potrebbero essere raggiunti dall’Inps) e degli immigrati in regola (che sono sotto la no tax area), i veri nullatenenti non presentano dichiarazione dei redditi. Ne consegue che l’Agenzia delle entrate «non li vede»; e quindi non può far loro arrivare il bonus.
Nonostante le difficoltà dell’Agenzia, i tecnici del Senato temono che la platea di incapienti stimata dal governo (12,7 milioni) potrebbe aumentare a dismisura. E proprio perché non c’è nessun dato fiscale certo che li riguarda. Così, gli esperti di Palazzo Madama consigliano l’inserimento di una «clausola di salvaguardia» per tamponare la spesa. In quanto «non si può escludere un’insufficienza dello stanziamento previsto, rispetto alle necessità».
Ma ciò che preoccupa maggiormente i tecnici del Senato sono l’uso del «tesoretto» da parte del governo e il suo trasferimento nella contabilità pubblica. La scelta di modificare in corso d’anno i saldi di finanza pubblica - dicono gli esperti - per aggiornarli all’andamento del gettito fiscale, potrebbe aprire la strada a politiche rischiose per il futuro.

Si tratta di scelte - precisano - che potrebbero creare un «precedente suscettibile ad aprire il varco in futuro a decisioni di politica di bilancio meno prudenziale; se non, addirittura, a un peggioramento del saldo di finanza pubblica».
I tecnici del Senato, infine, chiedono maggiore chiarezza sulla norma del decreto che stanzia un miliardo per il rinnovo dei contratti pubblici. «Occorrerebbero indicazioni circa la platea interessata», osservano.

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