TorinoChissà quante volte Antonio Conte avrà ripensato a quel 14 maggio 2000. Il diluvio di Perugia, un rinvio infinito tra il primo e il secondo tempo affinché il campo tornasse praticabile: poi lo scudetto alla Lazio, la Juventus battuta e furibonda quando ormai il tricolore pareva una formalità. Lui, numero 8 sulle spalle, parte in causa del momento decisivo della partita: cross dalla sinistra, un suo rinvio di testa appena accennato che finisce sul destro di Calori, il tiro di quest'ultimo (tifoso juventino, per di più) che batte Van der Sar e scudetto che prende la strada di Roma. Sponda Lazio, certo: squadra capace di recuperare nove punti di distacco nelle ultime otto giornate di campionato, di battere la Reggina 3-0 all'Olimpico negli ultimi novanta minuti della stagione per poi aspettare l'esito del match in terra umbra. Sorpasso fu, come tutti sanno: Lazio 72 punti, Juventus 71.
Ecco: undici anni e mezzo dopo biancocelesti e bianconeri si ritroveranno stasera di fronte respirando l'aria dell'altissima classifica. Stessi 22 punti in classifica, una partita in più per i padroni di casa ma conta poco: nonostante le cautele di chi guida le due squadre, entrambe sono arrivate al primo snodo della stagione. Vincere significherebbe acquisire ulteriore consapevolezza e spiccare il volo davvero, perdere ridimensionerebbe i sogni ma comunque non li annullerebbe. Per Reja, è «la» partita, per Conte no «perché il campionato non finisce né a Roma né martedì nel recupero contro il Napoli». Strategie motivazionali diverse, la sostanza non cambia. Conte è il nuovo con all'attivo due promozioni dalla B alla A in tempi recenti, Reja l'usato sicuro che ha fatto pace con l'ambiente dopo avere vinto il derby e nonostante a inizio stagione Lotito fosse dovuto andarlo a prendere sull'uscio di Formello perché il friulano non ne poteva più di essere contestato. Adesso è tutto dimenticato e la Lazio, che in casa non batte la Juve dal 6 dicembre 2003 (2-0, gol di Corradi e Fiore), sogna un'altra vittoria storica e un'altra notte di baldorie.
A Torino, non foss'altro perché farsi prendere dall'entusiasmo non rientra nei canoni della città, reagirebbero in maniera più composta ma la sostanza non cambierebbe. La Signora è comunque chiamata in quattro giorni a dare bella mostra di sé: in trasferta ha finora vinto due volte e pareggiato altrettante, segnando quattro gol e subendone due. E tenuto conto che in casa propria la Lazio non è uno schiacciasassi (due vittorie, due pareggi e una sconfitta; cinque gol fatti e quattro subiti), l'occasione è ghiotta per spaventare il campionato. Potrebbe non esserci Pirlo, le cui condizioni del ginocchio destro saranno valutate dopo l'allenamento di questa mattina: in caso di forfait, spazio a Pazienza (favorito) o a Giaccherini. Il modulo comunque non cambierà: avanti con il 4-3-3 e tanti saluti alla campagna acquisti estiva incentrata sugli esterni: «Nell'immediato, anche senza Pirlo, resterebbe lo stesso concetto di gioco - ha spiegato Conte -. Se poi ci fosse un'assenza prolungata e le alternative non convincessero, allora potremmo cambiare».
Pretattica o no, così è e comunque Reja ha detto chiaro che lui si aspetta di vedere Pirlo in campo. Chi ci sarà di sicuro è invece Klose, arrivato a Roma a parametro zero così come l'ex milanista a Torino: brave entrambe le dirigenze, allora, a scoprire vecchietti terribili in grado di fare ancora la differenza. Sarà anche la prima volta del ritorno di Vucinic a Roma: alla Lazio ha già segnato sette gol, quattro dei quali con la maglia giallorossa. Per lui sarà un personalissimo derby, mentre Rocchi (che contende a Cissè il ruolo di partner di Klose) sfiderà la società nella quale è cresciuto ma dove non ha mai giocato in prima squadra.
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