«Vi racconto la caccia al teschio di Cartesio»

Quando si pensa a Cartesio è quasi automatico che, in associazione libera di idee, si finisca subito per chiosare il nome del filosofo francese con il suo motto più celebre: «Cogito ergo sum». E in effetti René Descartes (1596-1650) è riuscito a congelare in una piccola frase il nucleo di una nuova filosofia razionalista che ha cambiato i destini dell’Occidente. Niente illuminismo senza Cartesio, nessuna vera base filosofica per quella scienza che Galileo prima e Isac Newton poi portarono avanti.
Ma Cartesio è anche un filosofo profondamente legato alla fede e al senso del divino. Il suo «cogito» lascia l’uomo solo davanti a Dio. A un Dio cattolico rispetto al quale Cartesio rimase sempre credente. Un Dio cattolico a cui forse stava cercando di riportare anche la Regina Cristina di Svezia (luterana per inevitabile scelta dinastica). Ed è proprio attorno a questa poliedricità del filosofo, che per primo stabilì con chiarezza i concetti di mente e corpo, che si sviluppa uno dei più grandi misteri della storia della filosofia. Cartesio morì in Svezia nel 1650 e ancor oggi si discute se di polmonite o avvelenato da una corte protestante che non amava il fatto che la regina pendesse dalle labbra di un filosofo cattolico. Il primo «scontro» per i suoi resti avvenne subito dopo la sua morte: i riformati svedesi volevano seppellirlo in un cimitero protestante l’ambasciatore francese Pierre Chanut lo fece seppellire, invece, nel cimitero dei bimbi morti prima del battesimo (religiosamente terra di nessuno). Sedici anni dopo nel 1666 la Francia pretese la restituzione del corpo. I cartesiani francesi, divenuti potentissimi, volevano seppellirlo in pompa magna e in chiesa per mostrare il loro potere e la loro cattolicità. E allora capitò il fattaccio: qualcuno, pur essendo le ossa accuratamente protette, riuscì a rubare il teschio. Da lì in poi si scatenò una vera e propria guerra per impossessarsi di questa reliquia e certificarne l’autenticità. Uno scontro in primo luogo filosofico di supremazia culturale a colpi di reliquia. Una vicenda affascinate che Russell Shorto penna filosofica del New York Time Magazine (ma residente in Olanda) ha appena ricostruito nel saggio, scorrevole come un romanzo, Le ossa di Cartesio. Una storia della modernità (Longanesi, pagg. 292 euro 17.60). Un saggio che non si limita a elencare i fatti ma spiega perché la supremazia delle idee a volte passi da simboli e feticci: proprio come i resti di Cartesio.
Mister Shorto, iniziamo dai fatti. Perché nel 1666 il corpo di Cartesio inizio a diventare importante?
«Tutti i corpi sono importanti. Io ho studiato filosofia ma ho sempre cercato di riportarla ad un piano materiale, non astratto e slegato dalle cose. Ecco perché mi sono occupato della vicenda... Vede, ad un certo punto il corpo di Cartesio ha iniziato a diventare un simbolo. I seguaci di Cartesio lo volevano in Francia... Volevano seppellirlo con sontuosa processione nella chiesa di Sainte-Geneviève-du-mont, la chiesa che portava il nome della patrona della città...».
E perché?
«Era un modo di affermare l’importanza del loro maestro, volevano usarlo come si usa un santo. E anche ribadirne la cattolicità... Era una scelta per certi versi politica...».
Un po’ strana per dei razionalisti...
«Bisogna pensare con la mentalità di quell’epoca. Dai suoi discepoli Cartesio era visto anche in una luce spirituale... I rituali della chiesa erano una sorta di punto di riferimento imprescindibile...».
Ma tutti quei notabili parigini non sapevano di star seppellendo un corpo mutilo...
«Sì, una delle guardie svedesi che avevano collaborato ai preparativi per portarlo in Francia si era appropriato del teschio, non voleva che venisse “esportato”. E così il cranio del filosofo è rimasto in Svezia sino all’Ottocento passando di mano in mano. E di nuovo il fatto di possedere la “scatola” che aveva contenuto il cervello di uno degli uomini più intelligenti d’Europa veniva visto come... Come possedere un talismano».
E quando il teschio nell’Ottocento tornò in Francia?
«Già c’erano state, a partire dalla Rivoluzione, infinite discussioni su cosa fare con le altre ossa. Cominciò un dibattito scientifico, combattuto in punta di argomenti cartesiani, per decidere se quello era davvero il teschio di Cartesio... Non ne vennero a capo. E questa ambiguità è veramente moderna...».
Ma tutta questa attenzione (compresa la sua), per quelle che in fondo sono solo ossa, a Cartesio sarebbe piaciuta?
«Sono domande a cui si può rispondere solo per gioco. Ma, onestamente, credo proprio di sì. Era molto vanesio e preoccupatissimo del suo corpo e della sua condizione di salute... Aveva una grandissima stima di se stesso... sì, gli sarebbe piaciuto».
Riportandoci al presente, visto che lei vede in questa faccenda delle ossa una sorta di metafora della modernità... Ma ancora oggi molti, che si sentono profondamente razionali e scientisti, finiscono per sviluppare una religione della scienza con tanto di “santini”?
«Credo proprio di sì, è nella natura umana. Cartesio, da vivo e da morto, ha rappresentato il dilemma tra religiosità e laicismo, tra fede e ragione. La modernità è questo dilemma. Non è la risoluzione del medesimo».
E la magia? Come lei racconta non si sono rubati solo il teschio...


«Sì, anche un dito. Hanno addirittura fatto degli anelli con delle altre ossa. In molti pensavano che le ricerche di Cartesio avrebbero portato a incredibili progressi medici... E da lì alla superstizione il passo era molto breve...».

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