Quando ha visto che Lamberto Dini si è messo a braccia conserte rifiutandosi di votare, la sottosegretaria Lucidi (che non è un parlamentare e che ha scarsissime probabilità di diventarlo mai) è diventata una furia e sotto gli occhi di molti senatori allibiti, fra cui chi scrive e il senatore Renato Schifani, è scattata come una molla ed è letteralmente saltata addosso al leader dei liberaldemocratici gridando e sbraitando come unossessa. E ha ottenuto il risultato: il senatore Dini, che aveva deciso e fatto sapere che non avrebbe votato il decreto finale, subito dopo quello di fiducia la notte di giovedì, si è piegato a questo attacco quasi fisico e visibilmente intimidito ha infilato di malavoglia la mano nella buca del suo banco ed ha votato. La sottosegretaria è tornata ringhiando soddisfatta sugli scranni del governo e in questo modo, dopo il voto di fiducia incassato per vicende da letteratura fantastica (un senatore di An che non si è presentato e Cossiga che è venuto a disegnare scenari di guerre balcaniche prossime venture), il governo ce lha anche fatta sul decreto che seguiva.
È stata una pagina ignobile dellignobile vita parlamentare che stiamo vivendo al Senato e il capogruppo di Forza Italia Renato schifani su questa vicenda è deciso ad andare fino in fondo, come mi ha spiegato ieri: «Tu sai che tutti i settori del Senato per motivi di sicurezza sono monitorati per tutta la seduta in bassa frequenza. Ho dunque chiesto al presidente Marini di far recuperare quello che mostra ciò che io e altri senatori, sbalorditi, abbiamo visto: lassalto sul senatore Dini che è stato indotto a votare contro la sua volontà e che lo ha fatto soltanto per sottrarsi ad una aggressione inaccettabile che altera la libera espressione della volontà politica dei membri del Parlamento. Ma non finirà così. Non è la prima volta che questo accade e il presidente del Senato deve prendere posizione, per quanto scomoda possa essere».
Da membro della stessa Camera non posso che condividere una indignazione che peraltro è diffusa anche sui banchi della maggioranza. È ovvio che questo governo privo di maggioranza sia nel Paese che in Parlamento (la fiducia è passata esclusivamente per la presenza e il voto di alcuni senatori a vita: non ha nulla da ridire il presidente Napolitano?) è costretto ad arrampicarsi sui vetri e anche a vivere di espedienti, ma come dire a tutto cè un limite. Abbiamo visto molte volte come nei banchi della sinistra sono aggrediti i senatori che osano manifestare sia pure in via ipotetica un voto di dissenso.
Gli episodi sono molti e non vogliamo qui ricapitolarli alla spicciolata come se si trattasse di eventi curiosi ed occasionali. La questione vera sta oggi nel fatto che il presidente del Senato, che ha diretto i lavori daula con saggezza e nelle piccole questioni dando spesso ragione allopposizione quando ce laveva, si trova ormai stretto in una morsa: il governo sta per cadere da un momento allaltro per quanto Prodi (che sembra un lottatore di sumo pesante e lento ma sempre in piedi) intrighi ogni giorno e in questa situazione sta di fatto che il Presidente del Senato sembra sentire un po troppo quando si arriva alle strette delle cose che contano il richiamo della foresta politica che lo ha espresso. Il che è entro certi limiti inevitabile, ma adesso siamo arrivati al momento della verità: quel che è accaduto fra la sottosegretaria Lucidi e il senatore Dini era sotto lemiciclo dominato dalla poltrona del presidente il quale non poteva non vedere.
È chiaro che se Dini avesse votato contro, il governo avrebbe ricevuto una mazzata politica di importanza quasi pari ad un voto di fiducia negativo e si sarebbe aperta una crisi politica. Ed è chiaro che la crisi politica non si è aperta soltanto perché ormai si consente persino ai membri del governo di assumere toni e atteggiamenti psicologicamente e fisicamente violenti. Il Presidente del Senato non può non vedere. E se davvero non ha visto, che si faccia immediatamente portare la registrazione in bassa frequenza dellaccaduto e prenda delle decisioni, dica quel che deve essere detto.
Paolo Guzzanti
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