«Vi racconto la mia vita con Gianni»

«Niente gossip, ma solo i fatti nudi e crudi». Antonio D'Amico, compagno di Gianni Versace per 15 anni, ieri sera era al Le Trottoir di Milano per raccontare - nel corso di una serata talk show - la sua storia con Gianni Versace. Una storia finita la mattina del 15 luglio 1997, quando lo stilista venne assassinato nella sua villa di Miami. Una storia messa nero su bianco in un libro, «It's your song», scritto (come una lunga intervista) dall'autore televisivo Rody Mirri. Il libro «parla del lato umano di Gianni, e della nostra storia d'amore, anche attraverso decine di foto inedite».
Signor D'Amico, è difficile parlare di quel periodo della sua vita?
«Qualche anno fa non sarei riuscito a parlarne. Oggi sono sereno, e ho metabolizzato quello che è successo, anche se non l'ho accettato...».
Cosa ricorda della mattina in cui Gianni Versace fu ucciso?
«È un ricordo incancellabile: io mi ero svegliato alle 7 e 30, e Gianni era già uscito a comprare i giornali... Stavo facendo colazione quando sentii gli spari. Mi precipitai verso il cancello e vidi che era aperto, poi vidi Gianni a terra, in una pozza di sangue. Da quel momento la mia vita è cambiata...»
Il caso è stato chiuso anni fa. Lei vorrebbe che fosse riaperto?
«Io non posso chiederne la riapertura, ma è stato chiuso troppo velocemente. Non credo a niente di quello che hanno detto i giornali, a partire dalla teoria della mafia. Sono convinto che ci sia dietro altro. Qualcosa che però io non posso dimostrare, e di cui non voglio parlare. Io continuo ad avere questo dubbio: finché avrò vita, aspetterò che la verità venga a galla».
Nel libro si parla anche del testamento...
«Una volta Gianni mi disse: "Se mi dovesse succedere qualcosa, vorrei lasciarti il 20% delle quote dell'azienda". Io rifiutai perché al tempo eravamo entrambi in vita e felici. Ma avrei dovuto accettare, perché la mia presenza avrebbe mantenuto un equilibrio all'interno dell'azienda. Tanto, alla mia morte avrei comunque lasciato tutto ad Allegra (figlia di Donatella Versace e nipote di Gianni ndr)».
Invece poi cosa le fu lasciato?
«La possibilità di vivere nelle sue case, cosa a cui ho rinunciato, e un vitalizio, di cui però mi è rimasto poco, perché il 60% se ne è andato in tasse. Comunque a me i soldi non sono mai interessati».
Il ricordo più bello?
«Il più bello è anche il più doloroso: la sera prima di morire eravamo in piscina, lui mi abbracciò e mi disse: "Qualunque cosa succeda, ricordati che ti voglio sempre bene, e che il mio amore è uguale a quello del primo giorno". Come dire: sto per salutarti ma ci sarò per sempre».
Come vi eravate conosciuti?
«Al ristorante dopo la prima di un balletto alla Scala, di cui lui aveva disegnato i costumi. Lui mi disse: "Siediti qui, vicino a me". Diventammo subito amici. Era il 1982».
Versace era un uomo molto generoso...
«Era generoso con tutti, per natura. Una volta, a New York, ci fermò un netturbino che l'aveva appena visto in tv. "Mr Versace - gli disse - ho visto le sue cose: sono bellissime, anche se io non potrò mai permettermele...". Gianni sorrise e gli disse: "Ti faccio un regalo, vai in boutique a mio nome e scegli quello che vuoi", e scrisse un biglietto per il direttore della boutique. Lui non era come gli altri, era sensibile».
Lei ha lavorato per anni nella Maison. Cosa ha imparato da Versace?
«Ho lavorato con Gianni per 15 anni e da lui ho imparato tutto. Lui pretendeva moltissimo dagli altri, ma concedeva anche tantissimo. Mi ha insegnato ad essere poliedrico, ad amare il bello, a non perdere mai di vista la qualità, a controllare sempre tutto in prima persona, e ad essere preciso in tutto… Era il tipo che se vedeva un filo che pendeva dall'orlo interveniva personalmente. Per lui doveva essere tutto perfetto».


Ora lei continua a fare lo stilista?
«Collaboro con alcune aziende, ma non penso ancora a un mio marchio. A settembre aprirò un centro di ricerca di moda e design a Palazzolo sull'Oglio, per permettere anche ai giovani di fare esperienza sul campo».

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