«Vi racconto tutto di Carla Bruni (che mi ha lasciato)»

Scrivere un articolo sulle incoerenze di Daniela Santanchè, per esempio, sarebbe facilissimo: già ne scrissi uno quando lei passò alla Destra. Domani magari ne scriveranno uno quelli della Destra, è solo una questione di punti di vista, lo schema resta rudimentale: si prendono dichiarazioni rilasciate in periodi diversi (su Berlusconi, sul Fascismo, su La Russa, su Billionaire, su qualsiasi cosa) e si mettono a confronto: dopodiché ciascuno rileverà ciò che vuole. Noi giornalisti abbiamo fatto milioni di articoli del genere, e però ho come l'impressione che di certe incoerenze ormai non freghi più niente a nessuno. La Santanchè è solo un pretesto, una sua coerenza oltretutto ce l'ha: sono le parole in generale (ciò di cui viviamo peraltro noi giornalisti) a sembrarmi sempre più irrilevanti rispetto alla formazione di una pubblica opinione. Le parole sono ormai troppe, milioni: tutti dicono tutto e nessuno ricorda nulla. In Tv sono solo un corredo dell'immagine, battute che sconfiggono contenuti. Non importa a nessuno che cosa dicevi o sostenevi: importa che cosa dici che farai in quel preciso momento.

E non ho idea se il cattivo saldo tra il detto e il ridetto, tra il detto e il fatto, tra quanto promesso e quanto mantenuto, sia il lascito di una vecchia cultura democristiana oppure un'inestirpabile peculiarità italiana o forse il cinico segno di una civiltà intera.

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