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"Vi salvo dai guai informatici ma Wikipedia mi ha cancellato"

Il blogger imprenditore da 740mila clic al giorno svela il suo pessimo rapporto con i social. "Ma faccio telelavoro da 14 anni prima del Covid"

"Vi salvo dai guai informatici ma Wikipedia mi ha cancellato"

Nel periodo della quarantena, due ragazzi italiani su dieci non stanno facendo nulla. Degli 8,3 milioni di studenti, 1,6 milioni non sono infatti coinvolti nella didattica a distanza. Numeri che rispecchiano il 24° posto occupato dall'Italia nella classifica europea Desi (Indice di digitalizzazione dell'economia e della società). A scattare la fotografia è Salvatore Aranzulla, il più conosciuto divulgatore informatico d'Italia. Il suo sito (www.aranzulla.it) è il numero uno per visite su argomenti di informatica e tecnologia: parlano i 740mila clic al giorno. Per molti è un angelo salvatore: quando non si sa che app scaricare, si blocca il sistema operativo o non si trova la password giusta, basta digitare il problema sul motore di ricerca e trovare la soluzione offerta da Aranzulla.

Lei ci tira sempre fuori dai guai digitali. La ringraziano per questo?

«Ricevo tantissime mail ogni giorno. In epoca pre-Covid19, quando partecipavo a eventi e giravo per Milano, mi fermavano regolarmente per salutarmi e dirmi grazie. Uso il passato perché mi sono isolato ben prima dei vari decreti. Soffro di una malattia infiammatoria all'intestino, prendo regolarmente farmaci per tenerla sotto controllo, ho preferito evitare i rischi del contagio da subito isolandomi in casa».

Con un'azienda che fattura 3 milioni probabilmente non abita più nel monolocale milanese di Porta Romana a Milano. Giusto?

«Sono a City Life e l'appartamento è spazioso, una parte l'ho adibita a ufficio».

Perché per lei il telelavoro è una prassi quotidiana da anni

«Per me e per i 14 componenti della squadra dell'azienda».

Per le riunioni cosa usate?

«Skype. Impeccabile».

E per i contatti al volo?

«E-mail, lo strumento più semplice ed efficace che ci sia».

Ora più che mai sono venuti al pettine i nodi dell'emergenza digitale nella scuola italiana. O almeno: in tanta scuola italiana. Una sua riflessione?

«Purtroppo è venuto a mancare un coordinamento a livello nazionale. Le scuole si sono mosse in maniera indipendente, cosa che alla fine sarà penalizzante. Pensiamo ai docenti che annualmente migrano di scuola in scuola, che oggi lavorano con una piattaforma e da settembre, cambiando istituto, molto probabilmente dovranno abbandonarla a favore di un'altra. Sarebbe stato opportuno muoversi uniti anche per ottimizzare i corsi di formazione: ti concentri su una piattaforma e formi il personale su quella. Senza contare il fatto che alcune piattaforme sono collassate, travolte dai clic».

Chi ha superato la prova? Quali sono le migliori?

«Difficile dirlo. Però va detto che alcune sono costruite in casa, e non sono state concepite per un utilizzo così massivo. Le piattaforme dovevano essere pronte per essere scalate. Quelle legate a Google, per esempio, erano state pensate da subito per i grossi numeri».

Possibile che al di là del Covid-19, non fosse considerato un grosso problema l'ignorare l'Abc del digitale?

«Bisogna darsi una svegliata, è innegabile, partendo dagli strumenti di base. È essenziale avere almeno un dispositivo, che sia computer o tablet: basta che ci sia uno strumento, anche solo per accedere ai servizi pubblici. Di recente ho fatto il passaporto elettronico, ho fissato l'appuntamento telematico, poi arrivato in questura in tre minuti avevo il documento. Pensiamo alla fatturazione elettronica. Non puoi non attrezzarti, al giorno d'oggi. Qualcosa, però, si sta muovendo. Pensiamo al telelavoro, le aziende si sono adattate subito. E comunque al di là dell'arroccamento di qualche sindacato, la maggior parte delle scuole ha reagito, chi avrebbe mai immaginato le lauree a distanza?».

I cosiddetti nativi-digitali, in concreto, quanto sono digitali?

«Sembrerebbe poco, vanno in tilt quando si chiede di caricare un documento su GoogleDrive. Il problema è che molti si limitano a utilizzare i social network, poi non sanno scrivere in Word o Excel. Perché una cosa è avere il cellulare e smanettare con Instagram o TikTok, e un'altra è sapere utilizzare gli strumenti. Spesso i ragazzi non hanno le competenze di base, quelle certificate dalla patente europea».

Pare che lei non vada tanto d'accordo con i social.

«Li uso con molta parsimonia. Ogni tanto faccio delle storie su Instagram. Un tempo avevo livelli di concentrazione più alti, ora notifiche e altre forme di intrusione limitano la capacità di stare sul pezzo. Bisogna difendersi. Ecco perché ho annullato tutte le notifiche mantenendo solo quelle di Whatsapp e dei messaggi».

Lei offre risposte semplici e concrete. Però prima di arrivare al nodo cruciale, fa un'introduzione. Dritte secche e chiarissime.

«Avevo 12 anni quando ho iniziato a sviluppare i primi contenuti. E ho sempre visto nel paragrafo iniziale il modo per tranquillizzare il lettore. È come se lo facessi accomodare in poltrona: il lettore si siede, si rilassa ed è pronto per affrontare il problema».

Nei giorni del #iorestoacasa, gli italiani digitali sono ancor più digitali. Forse troppo? Domanda che le pongo perché spesso lei lancia, diciamo, diete «detox».

«Come ha rilevato l'americana Cloud-flare nel Nord Italia in epoca Covid-19, il traffico internet è aumentato del 30%. C'è gente collegata a internet da mattina a sera. Bisogna fare attenzione. Io sono sempre andato in palestra ogni giorno per creare uno stacco e ora che non posso andarci, ho comprato bande elastiche e mi alleno in casa, un'ora al giorno. Per dire che bisogna ritagliarsi degli spazi extra computer. Non bisogna perdere il contatto con la realtà. Ora che siamo tutti a casa, anziché ordinare il piatto pronto, facciamolo noi, dedicando un'ora del nostro tempo alla cucina».

Ma lei al computer quanto sta?

«Dipende dal periodo. Vado dalle tre ore alle dodici se serve. E sto così tanto al computer che ho bisogno di ricorrere a colliri. Però devono essere delle eccezioni perché - ripeto - bisogna ritagliarsi spazi extra computer».

Un paio di anni fa disse che sarebbe andato in pensione il 24 febbraio 2020, giorno del trentesimo compleanno. La vediamo ancora iperattivo. Cambiato idea?

«Spesso mi arrabbio con me stesso perché c'è sempre qualcosa da fare ed è una corsa senza sosta. Però ho provato a stare fermo per alcuni giorni, addirittura calmo sul divano, ma non riesco a non fare nulla. Anche perché sei lì, sul divano e pensi agli amici in attività. No, non posso. A gennaio mi ero prefissato di portare il sito alla massima velocità entro febbraio per ritirarmi in santa pace. Invece? Ho riscritto parte del codice, ora il sito è più veloce del 26%. Nel frattempo sono spuntate altre idee per cui non vado in pensione».

Un imprenditore nato. Ma almeno le vacanze, quelle le fa?

«Non vado oltre i quattro giorni, poi devo tornare al lavoro».

Ha una laurea alla Bocconi. Non in informatica ma in management.

«Quando mi iscrissi all'università volevo trasformare la mia passione in un'azienda vera e propria. E per farlo era opportuno acquisire competenze manageriali. O almeno questo fu il ragionamento che feci».

E che rifarebbe?

«Assolutamente sì, continua a interessarmi il lato gestionale dell'azienda. Per il mio sito ho bisogno di professionisti con super-competenze nei rispettivi settori, con abilità che superino le mie. Mi sono circondato di collaboratori specializzati su singoli temi, espertissimi in determinati ambiti».

In quanti si sono offerti di acquistare la società?

«In tanti, ma non ha senso venderla perché è legata al mio nome. Tema non banale. Poi economicamente va bene, tre milioni l'anno. Perché venderla?».

In sintesi, lei è un giovane uomo ricco. Che rapporto ha col denaro?

«Continuo a fare la vita di sempre».

Si sa che viaggia moltissimo. Non mi dica che va in economy.

«Vado in business. È tra i pochi piaceri che mi concedo. Anche perché ho la passione per gli aerei. Per raggiungere la meta, mi costruisco un tragitto complicato pur di provare determinate compagnie. Poi mi piace soggiornare in hotel confortevoli. Per il resto, vita semplice e di lavoro. Il web ospita siti talmente riconoscibili e rodati da non lasciare spazio alla concorrenza. Si va da Aranzulla a GialloZafferano per la cucina, per dire».

Ci sono ancora nicchie occupabili?

«Oggi gli spazi sono sempre più risicati e la pubblicità vale sempre meno, quindi per riuscire a guadagnare, devi poter vendere tantissima pubblicità. E comunque il tuo sito deve fare grandi, ma grandi, numeri. Quindi, o ti accontenti di rimanere piccolo, lavorando per conto tuo con piccoli ricavi, oppure riesci a diventare un colosso: il Louis Vuitton del digitale. In ogni caso, in questa fase economica è chiaro che la pubblicità crollerà».

Lei come si informa? Carta o digitale?

«Leggo i vari quotidiani on line, poi mi sono costruito una lista di siti internet che seguo via twitter. Mi piace il cartaceo, ma lo leggo quando viaggio. Ma nove info su dieci vengono dal web».

Viaggia per?

«Passione, piacere».

Mete legate al mare, da siciliano verace qual è?

«Stranamente non mi piace il mare. Amo visitare le grandi metropoli, da Tokyo a New York. Ho un debole per le città costruita da zero, penso a Dubai dove sono stato decine e decine di volte».

Va per musei? Teatri?

«No. Mi piace girare per la città, camminare senza una meta precisa. A Milano capita che compia 15 km al giorno. A Dubai o Muscat mi diverto a vedere cosa c'è di nuovo, come cambiano i quartieri in pochi mesi».

Riprendiamo il discorso di lei, siciliano di Caltagirone, che adolescente viene a Milano dove studia e lavora.

«Lavoravo per pagarmi le rette, e comunque l'esperienza in campo fa bene. Bisogna partire rapidamente se vuoi essere indipendente. Il lavoro non cade dal cielo. I ricavi vengono se sei sul mercato, se sei competitivo, se punti sull'innovazione. Bisogna entrare nel mercato del lavoro il prima possibile».

Che studente era?

«Studioso. Continuo a non capire i ragazzi che si inventano una cosetta e subito smettono di andare all'università credendo di essere arrivati. La scuola dà gli strumenti per gestire un'azienda, non puoi fermarti a un colpo d'intuito. Come fai a gestire un'azienda se non sai leggere un bilancio?».

L'italiano ha tante qualità, ma fatica a solidarizzare con il successo altrui. È nota la faccenda di Wikipedia italiana che le ha negato la pagina perché Aranzulla non avrebbe i criteri di fama necessari. Altri attacchi?

«All'inizio mi criticavano molto. Dicevano: Com'è possibile che tu riesca a guadagnare dando risposte stupide.... Gli utenti mi hanno poi dato ragione, il sito è esploso e le critiche implose. Quanto a Wikipedia so che la persona che mi ha cancellato dalla versione italiana ha tentato di fare altrettanto sulle Wikipedia in altre lingue, fallendo però».

Come si vede nei prossimi cinque anni?

«Voglio continuare a fare quello che sto facendo. Ovviamente cambieranno le tematiche, l'imperativo del mio lavoro è essere al passo coi tempi».

In tutto questo, è riuscito a farsi una fidanza? O una tele-fidanzata?

«Certo. Sta con me, ma si occupa di tutt'altro.

Non è nemmeno appassionata di informatica anche se ora si sta un po' aprendo».

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