Vi spiego cosa succede dentro il centrodestra

Il governo Berlusconi, come tutti i governi europei, affronta tempi difficili di fronte alla grande crisi finanziaria che ha toccato il mondo intero. Ciò ha reso ancora più importante l’investimento fatto dagli elettori italiani in Silvio Berlusconi e nel centrodestra dopo aver visto il fallimento della sinistra di governo. Tale fallimento è stato così evidente da mettere in questione l’esistenza del Partito Democratico, dove le differenze da Veltroni appaiono come divergenze non solo sulla figura del segretario, ma sulla stessa forma politica del partito.

Vi è un chiaro fuggi fuggi verso Pier Ferdinando Casini. Esso è emerso nel convegno sulla giustizia promosso dalla fondazione di D’Alema e da quella dell’Udc, dove sono state formulate proposte diverse da quelle presentate dal Pd. Rutelli dà cinque mesi di tempo a Veltroni per dare forma al tentativo di una forza politica che racchiuda insieme cattolici democratici e post-comunisti. L’idea è quella di disgregare il Partito Democratico per determinare una crisi interna al Popolo della Libertà. Il governo di centrodestra è l’unico possibile nel Paese e questo rafforza la responsabilità di coloro che ne fanno parte. L’unità del governo è condizione dell’efficacia della sua azione, la prova della vitalità della maggioranza sta sia nella convergenza interna al Pdl tra Forza Italia ed An che nell’alleanza con la Lega Nord. Ogni fine particolare è perseguibile solo nell’unità della coalizione. Questo vale anche per il fine massimo della Lega, cioè il federalismo fiscale. Il fatto che il suo conseguimento venga inteso dal partito di Bossi come possibile attraverso il dialogo con l’opposizione non toglie il fatto che il federalismo sia una politica della maggioranza e che essa sola sia in grado di porlo non come fatto del Nord ma come politica nazionale. La Lega ha oggi il vantaggio della sua parzialità, ma non può pensare di ottenere un risultato duraturo se ritiene di raggiungerlo con l’indebolimento della maggioranza e con la sua autonomia all’interno di essa. Proprio ciò appare dagli emendamenti proposti dalla Lega e non posti all’ordine del giorno del governo. Così il Carroccio dà l’impressione di essere il solo partito che accetta di dare corpo alle aspirazioni della sua gente, agendo indipendentemente dalla coalizione.

La scelta di Bossi è stata quella di puntare sul consenso della nazione alle riforme federaliste, di garantire che lo statuto del Nord diventasse la forma politica di tutte le regioni italiane. La Lega non può giocare a un tempo la sua parzialità di lotta e la sua funzione di governo. Se Berlusconi non avesse avuto un mandato da tutta l’Italia, anche dal Mezzogiorno, se il Popolo della Libertà non fosse apparso come partito nazionale, la Lega non potrebbe certo introdurre il federalismo fiscale con l’appoggio della sinistra.

Giocare il ruolo di governo è essenziale per la riforma che essa propone, ma ciò chiede che la coalizione appaia come un fatto nazionale, che parla all’Italia intera e non soltanto al settentrione. È evidente che il Nord non raggiungerà gli obiettivi che la Lega vuole senza che le prospettive della riforma appaiano come rivolte alla nazione, come una politica di governo di tutto il Paese. Lo statuto di forza di governo è essenziale per la Lega e per la riforma federale. E tale statuto l’ha ottenuto attraverso l’alleanza con il Popolo della Libertà e grazie all’impegno personale di Silvio Berlusconi.

La Lega ha fatto una scelta di governo per l’Italia come via alla riforma e quindi ha rinunciato a pensare che il federalismo possa essere ottenuto mediante l’ostensione della parzialità leghista. La Lega è un partito del nord, ma non è il solo né il maggioritario, e se è al governo è perché la maggioranza degli elettori del Nord ha voluto mandare Berlusconi al potere con la Lega, non senza il Popolo della Libertà. Il Pdl celebrerà il congresso di fondazione a marzo. Esso è una convergenza di Forza Italia ed An, che hanno storie diverse. Occorre però ricordare che il successo elettorale è avvenuto grazie alla persona di Berlusconi e alla sua leadership.

La proposta del leader di An sulla giustizia non può avvenire in modo autonomo dalla posizione del governo. Non si possono avere delle diversità così accentuate nel linguaggio, perché ciò fa sì che il leader del Partito Democratico dichiari di essere d’accordo con Fini e non con Berlusconi. Il governo è uno, Berlusconi ne è il leader.

Se la maggioranza accetta una linea autonoma delle sue componenti nei rapporti con l’opposizione, ciò significa che essa non è una maggioranza di governo. Il contrario di quello che gli italiani hanno voluto alle ultime elezioni. 
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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