Le dichiarazioni del Papa sul dialogo come modo dei rapporti tra cattolicesimo ed Islam non hanno diminuito le reazioni del mondo musulmano al discorso di Ratisbona. Ed il viaggio del Papa in Turchia risente della tensione che si è determinata. Così il viaggio diviene a rischio e sarà soprattutto un viaggio coperto interamente dalle forze di polizia turche, un viaggio blindato. Ma le parole del Papa sull'Islam andavano dette perché esse corrispondono alla verità: l'Islam è l'unica religione che consideri la costrizione e la violenza come un mezzo di diffusione religiosa. È evidente che il governo turco si attendeva dal Papa ben più che una dichiarazione di stima per il mondo musulmano, voleva qualcosa come una richiesta di scuse. L'Islam non conosce il dialogo con i cristiani ma la loro sottomissione ed ora sembra volerlo anche nelle terre occidentali, che non sono terra d'Islam ma terra della guerra e del conflitto, in cui quindi dovrebbe valere il principio della differenza. Ma è evidente che l'Islam considera di aver valicato ormai i confini europei. La Turchia, entrando in Europa, entrerebbe già in una terra in cui vale il principio della sottomissione dei cristiani alla religione del Profeta.
Erdogan non ha deciso di volontà propria il rifiuto di incontrare il Papa nel suo viaggio in terra turca. Il suo è un partito moderato ma è sempre un partito islamico e sente il polso del popolo delle moschee.
Il viaggio sarà dunque considerato una provocazione dal punto di vista degli islamisti turchi, ma è anche una prova del carattere laico del governo prima ancora delle sue intenzioni europee.
Il Papa romano è visto da sempre nel mondo musulmano come il capo della Cristianità e la Cristianità è considerata come avversa al mondo musulmano. Un detto di Maometto annuncia la conquista di Roma e i musulmani hanno cercato più volte di realizzare la profezia. L'ingresso della Turchia in Europa vuol dire entrare in rapporti con colui che considerano, in quanto capo dei cristiani, come avverso all'Islam. E non è un caso che le aggressioni avvenute recentemente in terra turca abbiano avuto per vittime sempre sacerdoti cattolici. Come non ricordare che anche Ali Agca, l'attentatore alla vita di Giovanni Paolo II, era un turco e che egli dopo la sua conversione, abbia ammonito il Papa a non andare in Turchia.
Né la Santa Sede né la Turchia possono chiedere di rinviare il viaggio, anche se questa sarebbe la soluzione più prudente. Paolo VI ha consegnato al governo turco la bandiera di Lepanto per indicare la pace tra Islam e Cristianità. Ma Lepanto non significa nulla per i turchi, per loro è una vittoria perché ottennero, anche se sconfitti in battaglia, di conservare ciò per cui la battaglia si era fatta, cioè l'isola di Cipro.
Se il viaggio dovesse essere rinviato, apparirebbe chiaro che l'Islam radicale si impone anche nella terra di Atatürk. Concepito come visita alle minoranze cristiane, non solo cattoliche ma soprattutto a quelle ortodosse ed armene, il viaggio ha in sé una chiarezza fondamentale, quella di chiedere la libertà per le minoranze cristiane di predicare la propria fede e di accettare conversioni dall'Islam. Ma l'Islam politico è diventato una nuova forza in Turchia e la libertà piena ai cristiani in Turchia non sarà mai concessa. L'Occidente si rifiuta di prendere pienamente coscienza che l'islamismo radicale ha vinto anche nel Paese in cui lo Stato si dichiara laico ma mantiene intatto il carattere musulmano della società.
Anche se il viaggio del Papa si facesse senza danni, sarebbe certo una prova della efficienza politica della polizia turca, non di un rapporto del Papa con la società turca.
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