di Luca Doninelli
Milano non ci appare, sfacciatamente, sotto gli occhi a un primo sguardo. Altre città ostentano questa protervia, Milano no. E la ragione non sta nella sua modestia, ma nella sua forza: Milano non ha bisogno di apparire, se la volete conoscere dovete andarla a cercare.
Per questo ogni settimana ritaglio una mattinata per prendere un tram o un autobus da un capolinea allaltro: per scovarla dietro un ponte, oltre una ferrovia, in uno scorcio tra due case, in un insolito saliscendi, guardandola con attenzione là dove nessuno la guarda, o meglio: là dove non vuole essere guardata.
Una delle linee più ricche di sorprese è sicuramente il 2. Il suo lungo tragitto corre dalla Bovisa fino a Piazza Negrelli, uno slargo di sulla via Ludovico il Moro, lungo il Naviglio Grande. Decido di rinviare ad alta data - quando salirò sulla linea 92 - la mia passeggiata per la Bovisa e mi dedico al tratto meridionale del 2, dal centro a piazza Negrelli e ritorno.
Linteresse offerto dai navigli è molteplice. Lungo questi antichi canali infatti la città si è sviluppata prima che altrove, addentrandosi con questi tentacoli nel cuore della campagna. Il canale costituisce, inoltre, una specie di centro, che permette a questa parte di città di svilupparsi con un senso visibile. Così, man mano che il tram procede lungo il naviglio verso la periferia, noi vediamo le stesse tipologie di costruzioni, una mescolanza di abitazioni e edifici commerciali o industriali. Da principio prevalgono le abitazioni, poi, gradualmente, le altre tipologie prendono il sopravvento senza mai cancellare, però, il carattere residenziale, che si può riscontrare, si può dire, per tutto il tratto urbano - fino all'estrema periferia - del Naviglio Grande.
Quella che prende il nome di Piazzale Negrelli non è altro che una rotonda sterrata per permettere al tram di girare: un po troppo per chiamarla piazza o piazzale. Qui si avverte meglio che altrove il grande disordine contro il quale la nostra città dovrà, in futuro, combattere con tutte le sue forze.
Qui il disordine degli anni Settanta si sovrappone a quello degli anni Ottanta e degli anni Novanta, quello edilizio si mescola con quello urbanistico e infrastrutturale. Faccio due passi lungo via Parenzo, una via come tante altre che è, in realtà, la parte terminale e incompiuta di un progetto di circonvallazione esterna mai del tutto realizzato (quello che comprende, per intenderci, i viali Faenza, Famagosta, Giovanni da Cermenate e così via).
Dove il vecchio tentacolo si assottiglia, un blackout trentennale si impadronisce delle menti di architetti, urbanisti e pubblici funzionari producendo un mix di bruttezza, malafede e pericolo.
Riprendendo, lungo il naviglio, a piedi, il percorso del 2 questo groviglio di lettere dell'alfabeto comincia a formare pezzi di parola, poi parole intere, e noi, a poco a poco, ritroviamo Milano.
Siamo nel paradiso della «loftizzazione». Molti edifici industriali sono stati (e molti saranno) riconvertiti come unità abitative o sedi di uffici. Passato Viale Cassala, imbocco Via D'Adda, che a occhio e croce sembra essere stata ricavata da una strada preesistente, perché i due lati sono troppo diversi tra loro. A un lato dispari privo di interesse si contrappone un lato pari pieno di sorprese. Osservo che la «loftizzazione» va di pari passo con la ristrutturazione di molte vecchie case d'abitazione popolari o decorose, di cui Milano è piena e che per lungo tempo sono state considerate tra le colpevoli della presunta bruttezza della nostra città. Oggi molte di quelle case, grazie a un sapiente lavoro di ripristino di porte, cornici, finestre e decorazioni, e grazie a una tinteggiatura più allegra, stanno mostrando il loro vero volto, decisamente gradevole. Il fatto che le due cose accadano allo stesso tempo mi fa pensare che a Milano l'architettura abitativa e quella destinata al lavoro siano più strettamente connesse che altrove. La nostra estetica è un'estetica del lavoro. Passo davanti a una bella villa con mattoni a vista, che una specie di Ponte dei Sospiri unisce alla vecchia fabbrichetta, ora trasformata in piacevole loft. Mi viene spontaneo mettere il naso in androni, spiare dietro i cancelli per vedere lo stesso paesaggio urbano, a me caro, dove quella stretta connessione di abitazione e lavoro si fa evidente come non mai. Ecco, se devo dire che cosè per me Milano, bene: per me Milano è questa cosa.
Percorro per intero Via D'Adda fino a Viale Cassala, supero un benzinaio, imbocco via Carlo Torre e poi Via Villoresi, che mi riporta al naviglio. La passeggiata lungo questo quadrilatero è stata utile.
Salgo nuovamente sul 2 deciso a raggiungere la Bovisa, ma giunto in via Torino capisco che mi devo fermare. Scendo davanti a San Satiro e ripercorro la via a ritroso, fino a Largo Carrobbio. Ci troviamo, qui, nel punto forse più antico di Milano: secondo la leggenda, la via più antica della città è infatti la piccola Via Circo, che corre a pochi metri da qui.
Il continuo via vai di gente dissuade di solito dal concentrarsi sulla bellezza martoriata di questa sezione del centro milanese. In questa parte nobile e antica la guerra è stata più crudele che altrove. Percorro dapprima via Lupetta, che sfocia in una delle piazze più belle di Milano, Piazza S. Alessandro dall'inconfondibile retrogusto romano.
Ma la via più interessante è Via Stampa, che si apre con il cinquecentesco, greve palazzo omonimo per proseguire su un terreno ondulato, mescolandosi un groviglio di stradine che ci racconta una storia di antica nobiltà, di guerra e di affrettata ricostruzione. Si indovinano i tracciati viari più antichi, le cancellazioni dolorose, i tracciati più recenti. L'insieme è disarmonico, certo, ma se d'improvviso tutto il fragore cittadino s'interrompesse per pochi minuti, sono certo che mille voci, mille fantasmi si accalcherebbero intorno a me per raccontarmi le loro storie. Si potrebbero risentire il quieto rumore dei carpentieri, lo scalpitio dei cavalli misto alle ruote delle carrozze, e poi le sparatorie, le bombe, i pianti disperati delle madri, delle vedove.
Qui la disarmonia non è disordine, ma racconto, storia.
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