Viaggio nell'America in crisi che aspetta "il messia" Obama

Scaffali vuoti, negozi falliti, saldi ovunque. Ma sulla desolazione domina onnipresente l'immagine del futuro presidente. Florida: prezzi crollati del 70 per cento, i commercinati licenziano, ma le commesse continuano a sorridere

Viaggio nell'America in crisi  
che aspetta "il messia" Obama

Arrivo in Florida da Washington e trovo la desolazione. Nella capitale avevo già notato il crollo delle merci e dei prezzi nei negozi, cartelli che indicano vendite, saldi, tutto a metà prezzo. Intere catene di negozi fallite, out of business, scaffali vuoti, negozi vuoti, rimasugli svenduti a un terzo del prezzo. Noi in Europa non abbiamo la più pallida idea di che cosa sia la crisi americana, che non è soltanto una crisi strutturale del sistema bancario, ma anche l’esito di un groviglio di truffe, di sparizioni di imbonitori, di gente che si è rovinata, rovinata per sempre e fino al collo.

A Palm Beach vedo donne d’età, vestite molto bene che con vergogna prelevano dal portabagagli i quadri che decoravano la loro magione e li portano nel negozio di antiquariato per venderli e sbarcare il lunario. Su questo insieme desolante campeggia però lui, l’immagine del messia salvifico: Obama. Obama in magliette enormi, Obama su costumi da bagno, salviette, spille, giochi, tombole, gadget.

Obama tace, tutti sperano che possa affrontare la situazione, anche se non vedono in lui un mago della pioggia, ma semplicemente il nuovo. La Florida, e in particolare Palm Beach, sono zone ad alta densità di presenza ebraica e questo significa che la catastrofe provocata da Bernard L. Madoff, un ebreo che ha dissanguato prevalentemente una clientela borghese ed imprenditoriale ebraica, ha distrutto non soltanto le persone, le case e le famiglie, ma anche le grandi organizzazioni ebraiche di “charity” da cui dipendono a cascata orfanotrofi, borse di studio per studenti poveri, manifestazioni artistiche, contributi alle università e agli ospedali. Dunque la catastrofe si sparge come un’esplosione a bassa intensità provocando un’onda d’urto lenta e micidiale che spazza via e disarticola la società nel suo complesso.

I prezzi sono ovunque crollati del 70 per cento appena passato il Natale, persino i pedicure e i manicure offrono due prestazioni al prezzo di una e qualsiasi cosa tu comperi te ne vedi regalare una seconda. Non credevo ai miei occhi quando, avendo comperato due vestiti di ottima taglia e di prezzo più che conveniente, me ne sono visto mettere in conto soltanto uno.

Intanto Obama sorride, Obama è accigliato: Obama è in costume da bagno, colto da un paparazzo alle Hawaii con uno scatto fortunato e miliardario che mostra il presidente più fico e più fusto della storia degli Stati Uniti. Obama tace. Non può e non deve parlare. Si ripete in televisione che gli Stati Uniti hanno un solo Presidente per volta e non due. Gli americani sono rigorosi, badano alle forme. Sono mesti, sono disoccupati, ma rispettano tutte le regole.

Le commesse dei negozi vuoti stanno per perdere il posto di lavoro perché la ditta va avanti finché l’ultimo scaffale non sarà vuotato, e allora addio. Ma intanto sorridono, salutano, sono disarmanti e gentili. Tutti sembrano affrontare la catastrofe con un senso di rassegnazione che stringe il cuore. Il Paese, semplicemente, si ferma. Out of business. Fallito. Se vuoi comperare un’automobile, metà prezzo. I prezzi delle case seguitano a scendere in picchiata, ma nessuno le vuole perché nessuno ha soldi e per quadrare il pranzo con la cena si vendono i libri, i ninnoli, i mobili non essenziali, tutti cercano di affittare a chi viene da New York per una stagione di golf.
Questa serena disperazione americana colpisce per compostezza e perché è profonda. Ma Obama garrisce come una bandiera e allora viene voglia di chiedersi che cosa e chi sarà l’uomo che fra poco prenderà posto alla Casa Bianca. La squadra di governo che ha messo insieme è conservatrice. Veltroni e i veltronisti resteranno delusi, perché il nuovo governo americano somiglia al vecchio con la differenza che è dinamico, pieno di gente che si è odiata durante la campagna elettorale perché ad Obama piace arruolare i suoi nemici, a cominciare da Hillary Clinton che a sua volta sta mettendo su uno staff come segretario di Stato fatto da duri e competenti.

Obama interviene alla televisione e parla agli americani e si rivolge prima di tutto ai soldati e alle loro famiglie. Il suo non è un tono da pacifista di sinistra, ma da capo delle forze armate. Loda la fedeltà, l’abnegazione, il sacrificio. Dall’Irak porterà via poche truppe, perché ha già detto di voler essere «ragionevole», cioè lento nel ritiro e poi attaccherà pesantemente Al Qaida in Afghanistan, con diritto di penetrazione se occorre in Pakistan.

Obama è un duro, parla piano, parla con eloquenza in un inglese forbito, naturale, teatrale, grave, spedito, senza tentennamenti, senza appunti scritti. Obama è un grande scrittore, ho appena scoperto il suo «Dreams from my father» e ho trovato così delicate e strazianti le sue parole nel descrivere il modo in cui ha dovuto apprendere di essere un nero fra i bianchi, che ho provato anche lì una stretta al cuore. Obama sembra sapere molto se non tutto dell’essere umano. Sembra un uomo severo, pur essendo un politico politicante.

Ma è un uomo miracoloso, come testimonia la sua carriera: cominciò a fare politica di quartiere nel 1990 e diciotto anni dopo è presidente degli Stati Uniti d’America, primo afroamericano della storia alla Casa Bianca. Non è da tutti, non è un’opera facile. E quindi, essendo lui un uomo raro, diverso, ricco di qualità diverse da quelle degli Old Boys figli dei figli degli inglesi (come è però sua madre), ha il tocco, la sapienza, la magia della razionalità non wasp per poter metter mano al disastro e contemporaneamente affrontare un’agenda di politica estera da far tremare le vene dei polsi, basta guardare Gaza, la rinascita talebana, il dossier Russia, quello della Georgia e dell’Ucraina.

Ma che Paese sta per ereditare Obama? Un Paese che non crede più nella sua stessa identità: lo Stato è dovuto intervenire come uno Stato socialista e salvare persino America Express. Intanto la gente vaga per le strade della Florida inebetita per il colpo mortale di Madoff che si aggiunge a quello delle banche. Ciò che sconvolge non è il fallimento di un’impresa, ma la beffa, la truffa, il fatto che Madoff abbia per anni pagato agli investitori profitti da far girare la testa sicché quelli si sono convertiti in massa per portargli ogni cent del salvadanaio, ogni risparmio, ogni liquidazione dei piani di retirement, le conclusioni di vite di lavoro. Tutto svanito nel nulla, da un giorno all’altro.

Mia moglie, che è americana, compera vestiti per i bambini e fa provviste fino alla loro maggiore età: un costume da bagno elegante, tre dollari, purché esca il pranzo con la cena, una giacca per dieci hot dog potrebbe essere il nuovo traguardo del bargain, l’affare dei pochi maledetti e subito.

Al posto della disperazione nera, quella del 1929, della grande depressione nella quale milioni di americani morirono letteralmente di fame, oggi direi che si assiste piuttosto allo spettacolo della fiducia indotta dal messia nero. Obama non è ancora in carica, ma è ovunque. Il suo logo, il suo volto, la sua voce, emergono ovunque e hanno un effetto ipnotico, rassicurante. Lui saprà come fare. Intanto i consumi sono quasi fermi, la gente è all’elemosina, siamo alla deflazione con un penoso crollo verticale di ogni valore, ogni bene materiale.

Ma l’America è così: presto si sveglierà trovando che il circuito virtuoso è di nuovo in moto e che un nuovo round ciclico riprende, come nella bella addormentata, la «Sleeping Beauty» che è la fiaba simbolica di questo popolo.

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