A Viale Mazzini va in onda la guerra civile del Pd

Roma Tutto vorrebbe, il neo-segretario del Pd Bersani, tranne che ritrovarsi tra le mani proprio adesso la patata bollente di Rai3. E per questo, raccontano i ben informati del Pd, dai vertici del partito è arrivata a Viale Mazzini, alla vigilia dell’Assemblea nazionale, la richiesta di frenare sul giro di nomine che dovrebbe portare anche alla sostituzione dell’attuale direttore di quella rete, Paolo Ruffini.
Una sostituzione che qualche mese fa aveva ricevuto l’avallo «sia pur tacito», come dice l’ex Ppi Giorgio Merlo, di una parte del Pd, quella Ds che ha vinto il congresso. Ma che, se scattasse ora, attirerebbe troppe polemiche sul capo del nuovo segretario. Tanto più in un momento delicato come questo, in cui la leadership del Pd ha un canale di trattativa ufficialmente aperto con il governo per la nomina di Massimo D’Alema a Bruxelles, e qualsiasi accordo su altre questioni sarebbe immediatamente bollato come cedimento all’«inciucio».
Che la materia Rai sia scottante, all’interno del Pd, lo si è capito anche all’Assemblea di sabato, quando sul podio è salito Dario Franceschini, che di Bersani è diventato il principale interlocutore e che sarà il capogruppo del Pd alla Camera, e ha avvertito pubblicamente: «Il partito deve far sentire chiaramente la propria voce sui temi dell’informazione. Nominare un direttore di rete non è compito della politica, ma chiedere al governo di rispettare l’autonomia della tv pubblica è compito della politica». Un chiaro altolà, cui Bersani ha dovuto rispondere: «Sono d’accordo, è una vergogna questa continua pretesa della politica di intervenire anche nella dimensione aziendale».
Non sono stati fatti nomi, ma l’oggetto del contendere era proprio Ruffini, che nel Cencelli Rai è contato in quota ex Margherita, per la precisione ex sinistra Dc: il direttore di Rai 3 è figlio di Attilio, che fu ministro e vicesegretario Dc, e ai tempi della sua prima nomina in Rai (direttore Gr) si parlò dell’allora presidente del Senato Nicola Mancino come illustre sponsor suo e di Marcello Sorgi (Tg1). Da allora i tempi sono molto cambiati, e Ruffini è diventato l’icona della sinistra televisiva, il patron di trasmissioni di successo - e assai invise al centrodestra - come Parla con me e Ballarò, Report e Che tempo che fa. I cui autori e conduttori, da Fazio alla Dandini a Floris, sono tutti scesi in campo per sostenerlo e per opporsi a una sostituzione, in una mobilitazione raramente vista attorno alle poltrone Rai. Anche se, pure nel fortino di Rai 3, c’è chi fa notare che non necessariamente un cambio del direttore comporterebbe uno snaturamento della rete o una svolta a destra, visto che il sostituto di cui si parla è l’ex direttore del Tg3 Antonio Di Bella, solidamente di sinistra anche se, diversamente da Ruffini, in quota Ds. Per Bianca Berlinguer, ora alla guida del Tg3, «fa semplicemente ridere immaginare Di Bella nel ruolo del censore». E che sia «assurdo pensare che Di Bella possa “normalizzare” Rai3» è anche l’opinione di Maurizio Mannoni, conduttore di Linea notte, interpellato dal Corriere. Ma il parere della Berlinguer è giudicato «sospetto» dai supporter di Ruffini, che ricordano la forte sponsorizzazione dalemiana della neo-direttrice: «Sono gli stessi che han voluto lei che vogliono Di Bella al posto di Ruffini, il pacchetto concordato con la maggioranza era quello».
Per ora il Pd, ufficialmente, si compatta su Ruffini. Ma se gli ex Ppi lo difendono a spada tratta («È la nostra linea del Piave», dice il membro Cda Rizzo Nervo), tra gli ex Ds c’è più fatalismo: «Dopo sette anni, un direttore si può anche cambiare.

E certo Di Bella non è un fascista, no?», osserva un membro Pd della Vigilanza Rai. E anche l’altro consigliere Rai del Pd, Giorgio Van Straten, viene dato «possibilista» su Di Bella: «A patto che a Ruffini venga dato un ruolo di prestigio».

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