Politica

Vietti: cure drastiche per l’economia ma l’elettore capirà

Il sottosegretario Udc: «La Finanziaria sarà rigorosa, il medico pietoso uccide il malato. Gli imprenditori si lamentano però sapevano che dal 2005 la Cina avrebbe iniziato a esportare»

Con un inchino stile Savoia Cavalleria che ne rispecchia la piemontesità, l'Udc Michele Vietti mi introduce nel suo ufficio al ministero dell'Economia. È il sottosegretario più chic dall'unità d'Italia. Indossa un gessato grigio, ma sembra in frac. Apprezzo diverse rifinitezze di cui do un sommario elenco: polsini con gemelli, fazzoletto nel taschino che fuoriesce di due centimetri secondo gli antichi canoni, orologio d'oro accessoriato di lunario, igrometro e previsioni del tempo, scarpe tirate a lucido.
«Una silhouette da torinese d'altri tempi», lo elogio.
«Provinciale di Lanzo, il capoluogo delle Valli. Sede di pretura e di diversi ordini religiosi. Don Bosco vi creò il suo primo collegio», dice con orgoglio valligiano.
«L'ideale per sbozzolare un democristiano», osservo.
«Figlio d'arte. Mia zia, Anna Maria Vietti, è stata deputato dc negli anni ’70. Lei senza figli, io nipote prediletto. Discutevamo per ore di guelfi e ghibellini. Mi ha trasmesso la passione per la politica».
«Frugoletto avrà sicuramente frequentato il collegio salesiano di don Bosco», indovino.
«Medie e ginnasio. Liceo invece a Torino dai Gesuiti del Sociale, allora all'avanguardia del progressismo cristiano».
«L'istituto in cui è sbocciato Piero Fassino».
«Stessa scuola, classi diverse. Fassino ha cinque anni più di me. Mio compagno era Massimo Introvigne, oggi collaboratore del Giornale. Lui e io eravamo i conservatori. Aderimmo a Alleanza cattolica, centro di resistenza al progressismo post conciliare. Anni di fervore», ricorda Vietti compostamente seduto sulla poltrona. Si aggiusta gli occhiali tartarugati, poi intreccia le dita. Parla a voce bassa gonfiando le gote punteggiate da una curatissima barbetta sale e pepe.
«Lei è avvocato. Come è capitato in politica?».
«Mi ha spinto l'ex deputato dc Rossi di Montelera. Sono stato capogruppo dc nel consiglio comunale di Torino. Nel ’94 ho aderito al Ccd di Casini e sono diventato deputato».
«Dimentica i tre anni al Csm, dal '98, come membro laico del centrodestra».
«Esperienza fruttuosa. Mi occupavo di denunce ai magistrati, con delega per la Sicilia. Ho conosciuto il verminaio di Messina, i veleni di Palermo...».
«Bell'ambiente!», dico.
«Ho imparato a trattare coi giudici con stima reciproca», dice.
«Sottosegretario alla Giustizia fino a un mese fa, aveva fama di colomba coi magistrati. Se li ingraziava pensando alla sua fiorente attività legale in quel di Torino?», maligno.
«Non mi occupo, ahimè, dello studio da quando sono in politica. Sono colomba nel metodo, falco nella sostanza. È più facile raggiungere l'obiettivo se non si provoca la chiusura a riccio dell’avversario. Soprattutto quando si è di fronte a corporazioni sensibili come quelle dei magistrati», dice.
«L'opposto del Guardasigilli col quale ha infatti avuto liti memorabili. Contento di essersene liberato traslocando all'Economia?».
«Sì. Anche se da ultimo i rapporti erano buoni», dice.
«Che tipo è Castelli?».
«Tipo molto ideologico (fa il gesto dei paraocchi). Carattere chiuso. Con lui ho avuto le difficoltà di un dc con un leghista».
«Cioè?»
«Penso di essere uomo di principi, ma credo che la politica abbia bisogno di mediazione. Lui ritiene invece che la sua verità abbia, in sé, la forza di imporsi».
«Due anni fa minacciò le dimissioni perché Castelli voleva bloccare le rogatorie chieste dai giudici contro Mediaset. Castelli la sbeffeggiò: “Mai visto un dc dimettersi”».
«Isolandosi», ride Vietti. «Ebbi la solidarietà trasversale di una caterva di dc che, notoriamente, sono presenti in tutti i partiti. Castelli dovette inviare le rogatorie».
«Ha tergiversato anche sulla riforma della giustizia e Castelli la bollò come “nipotino di Amleto”».
«Non riforma della giustizia, ma dell'ordinamento giudiziario. Ci ho lavorato sodo anch'io e non rinnego. Ma per approvarla ci vuole tempo. Ho solo chiesto se, col poco che ne resta, non sia più intelligente concentrarci sull’economia».
«Senza quella riforma, il povero Guardasigilli avrà raccolto, nei cinque anni, un pugno di mosche», mi commuovo. Vietti fa spallucce e ribatte secco: «Problema suo». Mi guarda con l'aria serafica che prendono i dc quando sono perfidi e suggerisce di prendere i caffè appena giunti. Eccitati dalla droga, passiamo al sodo.
L'Ue ci castiga per avere superato il tetto del tre per cento.
«Forse avevamo ritardato a emettere il bollettino medico sulle reali condizioni del paziente. Siniscalco ha detto: “Basta con la finanza creativa”. Il che fa capire che la si è fatta».
L'opposizione ha avuto ragione.
«Dare la colpa al governo è ridicolo. Il calo di produzione risale almeno al 2000 e riguarda tutta l'Ue».
Siniscalco rifiuta correzioni immediate. Rodomontate?
«Non servono tamponi. Faremo a fine anno una Finanziaria rigorosa».
Lacrime e sangue sotto elezioni significa perderle.
«La serietà paga. Spiegando che i sacrifici sono funzionali al rilancio, l'elettore capirà. Il medico pietoso uccide il malato».
Il governo ha sbagliato tutto?
«L'economia non la fa solo il governo. La fa il Paese. C'è stato un ritardo degli imprenditori nel capire la crisi e trovare i rimedi. Si lamentano della Cina, ma sapevano da anni che nel 2005 avrebbe cominciato a esportare».
L'Economia è per quattro quinti piemontese: lei, il ministro Siniscalco, il vice Vegas, la sottosegretaria Armosino, anche il marchigiano Baldassarri è di scuola torinese. Disfatta pedemontana?
«Potrei dire che sono appena arrivato e non ho responsabilità. In ogni modo, dato che la prospettiva è quella del rigore, la piemontesità sarà di aiuto. Qui aleggia il fantasma di Sella».
La scrivania di Siniscalco è ancora quella del gran Quintino.
«Abbiamo abbondanza di scrivanie illustri. Io ho quella di Mussolini».
Tremonti riuscì a schivare le ire Ue. Siniscalco è più gnocco?
«Tremonti aveva la Lega, Siniscalco non ha un partito alle spalle. Deve fare l'avvocato di se stesso. Le do un esempio. Quando polemizzai con Castelli per le rogatorie, Follini stese su di me la mano: “Vietti è l'Udc”. E finì lì».
Alla Giustizia lei criticò le leggi dette ad personam dall'opposizione, salva Previti, lodo Schifani. Ha ragione l'opposizione?
«Il falso in bilancio è stata una riforma giusta e la ripercussione sui processi di Berlusconi non mi fa cambiare idea. In altre, il rapporto tra vantaggio individuale e utilità generale è meno evidente».
La Cdl doveva resistere, se no la magistratura avrebbe bloccato la politica.
«Il Cav è stato oggetto di attenzioni giudiziarie assolutamente sproporzionate. Quindi la sua resistenza politica è stata più che giustificata. Ma forse poteva evitarselo: quando si è sottoposto ai processi, è stato assolto senza l'uso di strumenti privilegiati».
I commercialisti la odiano. Li ha equiparati ai ragionieri, unificando gli albi.
«I commercialisti mi amano e mi hanno regalato un bellissimo libro raro. Un libro sui peccati, in verità. Non so se debba considerarlo un richiamo alla penitenza. Ma era giusto unificare due professioni che fanno le stesse cose. In Italia ci sono 29 albi professionali. Se vogliamo salvarli, come io penso, bisogna razionalizzare».
Gli unici magistrati con cui se l'è presa sono i minorili per la «sottrazione facile» dei figli alle famiglie.
«Non amo il giudice che si sostituisce al Padreterno stabilendo chi debba fare da padre o da madre. Penso debba esserci una presunzione di favore per i genitori rispetto a chiunque».
Il Berlusconi bis ha fatto dietrofront: non più tagli di tasse per i singoli, ma incentivi alle imprese.
«L'Udc lo aveva detto. I tagli erano troppo esigui per rilanciare i consumi e non hanno pagato elettoralmente. Siamo favorevoli al cambio di strategia. Ma per l'Irap, 13 miliardi di euro, bisogna trovare la copertura».
L'industria letargica merita un trattamento di favore?
«Non dobbiamo aiutare tutti allo stesso modo, ma solo chi ha gambe per farlo. Non chi ha tanti dipendenti e che poi sarà battuto dalla Cina. Ma chi fa innovazione».
Sull'Irak sta con Bush o col Papa?
«La mia anima cattolica mi consente di stare con l'uno e con l'altro. La Chiesa rifiuta la guerra ingiusta, ma non teorizza il pacifismo cieco».
Follini non ama il Cav. Lei?
«Lo stimo. Grande imprenditore e in politica ha fatto cose straordinarie. Ma il sistema bipolare logora. Difficile tenere la scena per più di un decennio».
Per le elezioni 2006, l'Udc sarà con la Cdl?
«Sarà nello schieramento alternativo al centrosinistra».
Il leader per il 2006 sarà ancora il Cav?
«Lo ha detto proprio il Cav: leader sarà l'uomo più funzionale a vincere. A lui l'ultima parola, ma confido che applichi la regola».
Chi altro se non lui?
«Mi pare difficile un altro nome».
Partito unico del centrodestra?
«Discussione che non mi appassiona. È un mio sogno che in futuro ci siano un Ppe e un Pse alternativi. Ma in otto mesi è difficile».
Rutelli è un avversario o qualcosa di meglio?
«Un concorrente al centro. Finché sta nell'Ulivo non potrà essere un alleato».
Chi si augura come leader dell'opposizione per batterla più facilmente?
«Prodi. Le sbaglia tutte».
Cioè?
«Privilegia l'antiberlusconismo all'omogeneità del programma.

Una bomba che disintegrerà l'Ulivo».

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