Cesarina Vighy è stata una scrittrice al limite. Estrema, ferocemente provocatoria. La sua prosa era tuttaltro che aggressiva, in un tempo in cui tutto ciò che piace deve prendere a schiaffi il lettore dalla pagina. In unepoca in cui tutto quello che diverte deve essere giovane, lei, Cesarina, ha esordito (lanno scorso) a settantatré anni. Per di più con un romanzo delicato come il suo titolo: Lultima estate (edito da Fazi, vincitore di un Campiello opera prima ed entrato in cinquina allo Strega).
Ma quello che conta davvero è che quel senso del limite a cui accennavamo appartiene alla Vighy molto più che a moltissimi «fabbricatori» di prosa, abituati a ostentarlo come marchio di fabbrica. Questa garbata signora nata veneziana ma assolutamente romana ha, infatti, scritto un romanzo che parla delle gioie e dei dolori della vita ma visti a posteriori, stando pericolosamente in bilico sul limite dellesistenza. Anzi come avrebbe detto lei stando scomodamente seduta, ma con ironia, allingresso del tunnel della morte. Da sei anni era malata di Sla (sclerosi laterale amiotrofica) una malattia che ti mangia i muscoli, che ti inchioda in un letto, che non perdona. Eppure questa donna abituata a masticare pane e libri - aveva lavorato a lungo al ministero dei Beni culturali e poi alla Biblioteca nazionale di Storia Moderna e Contemporanea - ha usato il disastro del suo corpo come unoccasione: ha preso il coraggio a due mani e ha scritto. Guardandosi indietro ha trasformato la letteratura in una specie di Second life, si è inventata il personaggio di Zeta, una donna malata, esattamente come lei. Come ha dichiarato in unintervista al Giornale: «Ho trovato un metodo per guardare alla vita... mi sono creata un Avatar che potesse uscire di qui... una vecchia signora malata ma saggia, che non desidera quasi più niente».
E ora che Cesarina Vighy, il primo maggio, il tunnel della morte lha imboccato davvero - un tunnel che si ingrandisce sempre più, secondo la velocità del treno su cui viaggiamo - il suo Avatar resta con noi. Per lei che si diceva non credente questa era la consolazione, una consolazione che nasceva dal dare, anche in extremis. Una consolazione legata allidea di fare in modo che «il libro mastro del dare e dellavere si chiuda in parità», che nonostante tutto il dolore ci piacciano «le cose pulite».
La scorsa settimana, poco prima della sua morte, è arrivato in libreria anche una miscellanea epistolare, quasi un inevitabile contrappunto a Lultima estate: Scendo. Buon proseguimento (sempre per Fazi). Contiene le mail che hanno tenuto «tittivighi» allacciata al Mondo. Lultima è del 27 marzo 2010: «Se ricordo bene è proprio la Speranza a restare in fondo al vaso di Pandora dopo che tutti i mali se ne sono scappati via, a infettare il mondo.
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