Sono nerazzurro, non interista. E nemmeno pisano. Però quei colori screziati di tricolore meritano tanto rispetto e molta ammirazione. Finalmente, lo scudetto dell'Inter è senza se e senza ma. Certo, onestamente non si può dire che il primo scudetto morattiano senza se e senza ma sia a buon mercato: per arrivarci, il presidente ha speso negli anni una mezza finanziaria. In aggiunta, non si può neppure dire che questa squadra sia il meglio del calcio italiano, se di italiano ha solo Materazzi e mezzo Balotelli. Effettivamente, è il trionfo dell'esperanto. Ma il capitale, le idee, il cosiddetto know-how sono intimamente e profondamente italiani. Del resto, la Ferrari ha piloti e ingegneri stranieri, senza che nessuno si sia mai sognato di considerarla una squadra esotica.
Poche chiacchiere, almeno stavolta. Ha vinto l'Inter, viva l'Inter. Piuttosto, adesso è il caso di pensare al dramma personale di tanti illustri fans, che improvvisamente si trovano svuotati della loro stessa anima. L'Inter che vince in questo modo, da padrona e da predona, manda letteralmente in frantumi un modo tipico e inconfondibile d'essere tifoso, basato sul vittimismo minimalista e crepuscolare, sul calimerismo sadomaso, sull'autoflagellazione snob e compiaciuta. Con questo successo prepotente e tracotante, per molti degli eminenti tifosi si apre il problema di come ricollocarsi sullo scacchiere curvarolo. Perdente è bello, questo il loro storico credo. Perdente è chic. Ma adesso, come gestire questa nuova veste di chiaro stampo juventino? Un pensiero sincero e deferente vada ai Michele Serra, ai Roberto Vecchioni, ai Beppe Severgnini.
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