PER VINCERE CI VUOLE IL PITTA

Nei giorni scorsi, ci ha scritto Alfio Barbagallo, segretario provinciale di Genova di Alleanza Nazionale, per chiederci di riconoscere l’importante ruolo di An nel buon risultato elettorale della Casa delle libertà ligure. Un ruolo che, ovviamente, riconosciamo più che volentieri. Tanto da aver riservato alla sua lettera lo spazio solitamente destinato all’articolo di fondo.
Quello su cui invece non seguiamo Barbagallo è il «no» alla nostra proposta di recuperare a tutti i costi ovviamente Sandro Biasotti e soprattutto, meno ovviamente, il professor G.B. Pittaluga. Come inquilini importanti della Casa. Sul punto, cito integralmente il barbapensiero di Alfio: «Dobbiamo al più presto indire una riunione fra responsabili della Cdl (...) e solo in quella sede la convenienza elettorale ci potrà portare a valutare eventuali recuperi di certi personaggi senza però dimenticare che, nel recentissimo passato, sono stati artefici, con il loro comportamento ondivago, di sconfitte che bruciano ancora».
Presumo che Barbagallo ce l’avesse con Pittaluga, più che con Biasotti. Presumo. Ma credo che quello di arricciare il naso sia comunque l’atteggiamento più sbagliato per affrontare il tema.
Il recupero di Pittaluga è un’operazione che va oltre la «convenzienza elettorale». Il Pitta, al di là del suo schieramento con Burlando che abbiamo duramente contrastato, è comunque un vero liberale e, in ogni caso, è un argine contro gli estremismi massimalisti di una parte della maggioranza in cui ha accettato di intrupparsi. Sbagliando.
Fin qui, possiamo anche essere d’accordo con la barbaobiezione del leader provinciale di An. Ma il Pitta è anche qualcosa di più: è un professore di valore, come riconosciuto da tutti i suoi studenti, che però ha saputo rivestirsi benissimo da politico. Diventando più politico di tanti politici-politici. E quindi il suo recupero non è un vezzo, è un obbligo.
Se possibile, anzi, vorrei aiutare il mio amico Alfio con un barbaricordo. Ed è quello della Lega che, con il ribaltone, l’appoggio al governo Dini e la corsa solitaria del 1996, era «stata artefice, nel recente passato, con il suo comportamento ondivago, di sconfitte che bruciano ancora». Di più: Umberto Bossi e i suoi erano stati protagonisti di una serie di insulti al Polo e a Berlusconi. Gianfranco Fini non avrebbe voluto bere con loro «nemmeno un caffè». E giustamente, in quel momento.
Ma Berlusconi seppe vedere oltre i rancori, i detti, i contraddetti e il passato. E da quella scelta, e da quel dialogo ripartito con difficoltà, è nato il successo delle regionali 2000, compreso quello in Liguria, quello delle politiche 2001 e anche l’inatteso risultato delle ultime elezioni.
La politica è fatta di dialogo, di ascolto, di recupero delle ragioni degli altri. C’è un tempo per essere duri e un tempo per aprire le porte. Ecco, penso che per la Casa delle libertà ligure e per quella genovese in particolare - che altrimenti rischia di essere destinata a una sconfitta pesante alle comunali del prossimo anno - il recupero del Pitta e di quello che il Pitta rappresenta sia vitale. Anche a costo di turarsi il naso, di chiudere un occhio, di scordarsi un po’ di passato. Se, solo, può aiutare a vincere o quantomeno a provarci.

È un discorso che varrebbe per tutti, figuriamoci per il Pitta che, nel cuore, è rimasto uno di noi.
Quindi, porte non aperte, apertissime. E ricordiamoci, caro Alfio, che al figliol prodigo si sacrifica sempre il vitello grasso.

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