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Violentata e massacrata: aspetta un gip da 7 mesi

Milano - «Marya aspetta giustizia, ma fino ad oggi nessuno ha ancora pagato per quello che le hanno fatto, nonostante siano passati 7 mesi da quel brutto giorno». A parlare è Hanna, portinaia ucraina in Italia col marito da oltre 10 anni, madre angosciata per la sorte della figlia 23enne, costretta a trascorrere le sue giornate su una sedia a rotelle. Una prigione alla quale l’hanno costretta alcuni connazionali, con i quali aveva avuto la sventura di trascorrere un pomeriggio estivo da incubo. Uno di loro, dopo aver tentato di violentarla, l’ha punita per la reazione scaraventandola giù dalla finestra del sesto piano di un palazzo di Lainate: un volo di oltre venti metri. Marya è stata portata in ospedale; è rimasta in coma per due mesi e quando si è svegliata ha riconosciuto i suoi aguzzini, denunciandoli. «A cosa è servito - si domanda la madre -? Mia figlia ha riportato lesioni gravissime e zoppicherà per tutta la vita, sempre che un giorno riesca a reggersi ancora in piedi e a camminare da sola».

Eppure nei confronti dei responsabili ci sono capi d’imputazione pesantissimi. Che però non hanno assolutamente accelerato le lungaggini della giustizia di casa nostra. Il pm infatti, anche perché timoroso che nei confronti della ragazza e della sua famiglia potessero arrivare ritorsioni, già dal 1° dicembre aveva chiesto al gip un incidente probatorio, per acquisire direttamente dalla vittima quanto già da lei dichiarato ai carabinieri e poter così spiccare un mandato di cattura. Purtroppo però, se non ci saranno intralci, Marya potrà essere sentita in procura forse soltanto a marzo. «E questo nonostante le pesanti accuse che vanno dalla tentata violenza sessuale al tentato omicidio, oltre alle lesioni gravissime - spiega l’avvocato Luciano Lampugnani, difensore della vittima -. La ragazza si trovava in un appartamento in compagnia di alcuni stranieri. Un “branco” che l’ha picchiata e l’ha scaraventata dalla finestra. Ma ciò che rende ancora più incredibile questa storia - conclude il legale -, è il fatto che gli autori siano noti e ancora a piede libero».

Marya abita con la famiglia in un piccolo comune alle porte di Milano, dove risiede anche una comunità di ucraini. A una festa conosce Natasha, sua coetanea, che il 27 luglio la invita a trascorrere il pomeriggio in piscina insieme ad alcuni giovani. Tutti bevono vodka, e Marya comincia a star male. A questo punto la comitiva, due ragazze e cinque uomini, si dirige verso Lainate, dove vive un altro straniero. Salgono in casa e la ragazza corre subito in bagno per liberare lo stomaco. Alle spalle arriva uno del gruppo e cerca di possederla. Lei resiste e scappa, abbandonando telefonino e documenti; vorrebbe che l’amica l’aiutasse, invece Natasha è già scesa in strada. «L’ho raggiunta e le ho chiesto di riportarmi a casa. Ma lei ha chiuso lo sportello e con gli altri è andata via». Marya si ferma sulle scale e piange. Il giovane che ha tentato di violentarla, con la forza la trascina dentro e chiude dietro di sé il portoncino blindato. «Li ho supplicati di lasciarmi andare - ricorda -, ma ho preso solo schiaffi e spintoni». Così, disperata, corre alla finestra per gridare e chiedere aiuto. «“Allora non hai ancora capito con chi hai a che fare”, mi hanno detto, e subito dopo mi hanno spinta giù». La giovane ucraina si è salvata per miracolo, finendo prima su un’auto parcheggiata e poi al suolo.

La mamma invece ha saputo della disgrazia soltanto due giorni dopo, quando allarmata dai silenzi di Natasha si stava recando dai carabinieri per denunciare la scomparsa della figlia.

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