Virginia, le ultime parole del killer: "Uccido in odio ai figli di papà"

L’assassino di Virginia Tech era stato lasciato dalla sua ragazza. Per l'Abc il giovane avrebbe lasciato una lettera in cui giustifica il massacro. La polizia si giustifica per il ritardo nell'intervento: "Seguita falsa pista"

Virginia, le ultime parole del killer: 
"Uccido in odio ai figli di papà"

Ha un nome e un volto l’autore della strage di lunedì mattina nel campus universitario del Virginia Tech di Blacksburg. A massacrare 32 tra studenti e insegnanti e poi a togliersi la vita, è stato Cho Seung Hui, un giovane sudcoreano. Che negli ultimi tempi aveva dato segni di instabilità mentale e sembra fosse diventato sempre più violento e stravagante. Aveva 23 anni e frequentava la facoltà di letteratura inglese, risiedeva da più di 14 anni negli Stati Uniti, dove era emigrato nel 1992 con i genitori, che vivono a Centreville, non lontano da Washington.
Il giovane sudcoreano è stato identificato grazie alle impronte digitali trovate sulle armi, confrontate con quelle della green card, il suo permesso di soggiorno. Un raptus di gelosia e un non meglio definito «odio per i ricchi» sono per il momento i due più probabili motivi per spiegare l’omicidio di massa più grave della storia americana.
In base alla ricostruzione dei fatti, alle 7 Cho ha lasciato la Harper Hall, il dormitorio in cui alloggiava, ed è entrato in una delle stanze del West Ambler Johnston, dove ha fatto le sue prime due vittime, un uomo e una donna, con tutta probabilità la sua ex fidanzata o una ragazza che l’aveva respinto. Una delle vittime è morta sul colpo, l’altra dopo alcune ore in ospedale.
Tra scene di panico nell’edificio, che ospita circa 900 studenti, quasi tutti del primo anno, giungevano dai telefonini degli alunni le prime richieste di soccorso. Ma la polizia commetteva un fatale errore. «Pensavamo che si trattasse di un litigio personale e abbiamo creduto che l’assassino avesse lasciato il campus», ha ammesso Wendell Flinchum, responsabile degli agenti dell’area. Fatto sta che Cho Seung-Hui, tornato in camera, ha caricato di nuovo le due pistole che aveva con sé e alle 9,40 ha raggiunto un’altra aerea del campus, la Norris Hall, dove si tengono le lezioni di chimica di ingegneria. Una volta nell’edificio, il killer ha cominciato a sparare su tutte le persone che ha incontrato nelle aule e nel corridoio ammazzando trenta persone. La palazzina veniva finalmente circondata dalla polizia e, dopo un’ennesima raffica di 40-50 colpi, il killer decideva di suicidarsi, sparandosi un colpo in faccia che lo ha completamente sfigurato.
La polizia ha trovato nello zainetto di Cho, che aveva riempito di cartucciere il suo gilet, un biglietto scritto di suo pugno e la ricevuta dell’acquisto di una delle due pistole, una calibro 22 e una calibro 9. La Glock da 9 millimetri era stata comprata in marzo. In mezzo alle certezze, il mistero. Quello del perché e quello delle presunte ultime parole di Cho. La Abc ha raccontato di una lettera trovata nella stanza del ragazzo: «Colpa vostra se l’ho fatto», sarebbe una delle frasi più inquietanti che vi si legge. Poi quell’attacco contro «i ragazzi ricchi» e la loro «dissolutezza». Quanto ai professori, la presunta lettera li definisce «ciarlatani capaci soltanto di ingannare». Presunta, appunto. Perché nella notte la polizia ha smentito di aver trovato messaggi di addio di Cho. È il grande enigma di questa storia spaventosa, adesso. Quella lettera poteva essere una spiegazione: folle, ma comunque una spiegazione. Se non esiste, questa tragedia rischia di restare senza un movente.
Quello che è certo è l’orrore: il giovane, descritto come un solitario, ha infierito particolarmente sulle sue vittime. «Non ce n’è una che non abbia ricevuto almeno tre colpi», ha raccontato il dottor Joseph Cacioppo dell’ospedale di Montgomery. I temi di scrittura creativa di Cho avevano talmente inquietato gli insegnanti, che lo studente era stato segnalato al servizio di supporto psicologico dell’università. «Eravamo preoccupati per lui - ha detto Lucinda Royl, direttrice di scrittura creativa del dipartimento di lingua inglese -. Talvolta, tramite la scrittura, le persone rivelano se stesse. Siamo sempre attenti a non ignorare questi segnali». Quei testi strani e violenti, sono stati definiti addirittura «macabri» da alcuni studenti. Come se il ragazzo avesse già sceneggiato il massacro.

Sembra che il giovane sudcoreano assumesse antidepressivi, mentre il Chicago Tribune, citando gli inquirenti, sostiene che l’assassino aveva «comportamenti violenti e stravaganti». Cho, secondo le stesse fonti, avrebbe spesso seguito alcune studentesse nel campus e sarebbe anche responsabile di un incendio in uno dei dormitori.

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