Visco giustifica la «stretta»: colpa di chi ha evaso

«Non si tratta di una minimum tax, ma di un ausilio per i contribuenti»

da Roma

Il mondo produttivo denuncia con forza la «stretta» sugli studi di settore approvata dal governo con l’ultima Finanziaria, e l’imperturbabile viceministro delle Finanze Vincenzo Visco che fa? Dirama un comunicato stampa, lungo e circostanziato, in cui ammette che l’applicazione dei nuovi indicatori di «normalità economica» comporta un aumento medio dei ricavi dell’8,7%. Un aumento «diretto a contrastare taluni comportamenti fraudolenti, favoriti dalla stagione dei condoni». Secondo la Confederazione artigiani di Mestre, si tratta di una manovra che porterà un maggior gettito di almeno tre miliardi di euro l’anno, a spese delle piccole e medie imprese.
Come al solito, Visco mette sotto accusa «i comportamenti fraudolenti di alcuni contribuenti che hanno finito per danneggiare coloro che si sono comportati correttamente». Siccome ci sono evasione ed elusione, argomenta il viceministro, allora ci vogliono più tasse per tutti. È lo stesso principio che ha ispirato la revisione dell’imposte sui redditi delle persone, con il seguente bel risultato: oggi, chi non evade paga ancora di più. Nè Visco accetta critiche al suo operato. Di fronte alla protesta montante da parte delle categorie ed ai distinguo provenienti anche dalla maggioranza, ad esempio da Rutelli e Fassino, contrattacca: «Gli studi non sono improvvisati e non sono una minimum tax, ma uno strumento di ausilio ai contribuenti».
Dopo aver menato con il bastone, il viceministro porge anche un pezzetto di carota. Ricorda che alcuni criteri per individuare le situazioni di alcune imprese marginali - quelle più in difficoltà di fronte a un aumento delle tasse da pagare - sono già previsti, e saranno integrati da una circolare la prossima settimana. Poi aggiunge che «la condizione di marginalità può essere segnalata dallo stesso contribuente, e sarà considerata dall’Agenzia delle Entrate nella selezione delle imprese da sottoporre a controllo». Annuncia che «altri criteri oggettivi» potranno essere individuati con l’aiuto delle categorie interessate. Infine, ricorda che nel triennio 2007-2009 tutti gli studi di settore saranno soggetti a revisione; e che alle dichiarazioni 2007 si applicheranno, se più favorevoli ai contribuenti, gli studi «revisionati».
Restano però intatti i dubbi sull’effettiva efficacia di queste manovre vischiane sul fronte dell’evasione fiscale, in particolare sul recupero effettivo delle somme evase. La Corte dei Conti riconosce che nel 2006 è raddoppiata l’evasione accertata rispetto all’anno precedente, da 15 a 30 miliardi di euro. Ma le somme realmente riscosse sono aumentate di poco: da 2 miliardi e mezzo e tre miliardi e mezzo di euro ( 11% dell’imposta accertata, contro il 10% del 2005). Si tratta di dati che la magistratura contabile presenterà nel Rendiconto sul bilancio dello Stato il 27 giugno prossimo, anticipati in parte dal consigliere Luigi Mazzillo, che ha guidato in passato l’Agenzia delle Entrate.
È dunque vero che i controlli portano alla luce più larghe sacche di evasione; ma in concreto, la percentuale del danaro effettivamente riscosso resta la stessa. Solo un decimo delle somme accertate finisce realmente nelle casse dello Stato.

«Il vero problema è come trasformare l’attività di accertamento in recupero effettivo», ha spiegato Mazzillo, intervenendo a un convegno della Uil. Mentre il presidente della commissione Finanze del Senato, Giorgio Benvenuto, ammette: «Ci sono state troppe violazioni dello statuto del contribuente: occorre ritrovare un rapporto corretto con chi paga le tasse».

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