Cultura e Spettacoli

Le visioni di Tarkovskij in musica Commuove la prima di «Nostalghia»

Al Donizetti di Bergamo debutto mondiale dell’opera di Couturier ispirata ai film del grande regista russo

Alessandra Iadicicco

da Bergamo

«Papà, Dio esiste?». Dieci minuti di silenzio - scandalosi nella sala di un cinema -, e sguardo prolungato sull’orizzonte dove il mare dell’isola di Gotland incontra il cielo nordico di Svezia. Poi la risposta: «Sì, esiste». Volendo, quei dieci minuti si potevano riempire di musica. Senza nulla togliere all’effetto - di domanda, dubbio, desiderio, concentrazione assorta; attesa, stupore, meraviglia, muta e fervida preghiera - prodotto dalla straordinaria sequenza del Sacrificio di Tarkovskij. Le stesse impressioni hanno prodotto le musiche di François Couturier ispirate ad Andrei Tarkovskij ed eseguite in prima mondiale ieri sera a Bergamo per il pubblico che, nella sala del teatro Donizetti, le ha ascoltate col fiato sospeso e con la pelle d’oca. Nostalghia. Song for Tarkovskij: è il nome dell’opera che, andata in scena per la première del Festival Internazionale di Musica Contemporanea, andrà in replica all’infinito sul cd in uscita a settembre per Ecm.
Un dramma senza immagini. «Canzoni» senza parole. Intitolate alle visioni del grande russo: Le Sacrifice, Solaris, Stalker, Ivan, Miroir... Tradotte - nelle laconiche diciture - nel francese del compositore pianista. E trasposte - nelle note di partitura - per le voci di un piano (Couturier), un violoncello (Anja Lechner), un sax soprano (Jean-Marc Larché) e un accordeon (Jean-Louis Matinier). Il silenzio è modulato in quartetto. Drammatizzato in figure melodiche. Scandito sulle sincopi e le dilatazioni, i sussulti e le distensioni dei ritmi del jazz.
Accadono un mucchio di cose in un’ora di concerto: senza verbo proferire. E il concerto proposto ieri da Verbo Essere - l’associazione promotrice della tre giorni che si conclude oggi - aveva tutto il sapore di un avvenimento. Evento di poesia, concitata azione liturgica, impressionante rappresentazione sacra: scandalosa come il silenzio - o Il grande silenzio - al cinema. Philip Gröning lo ha prolungato in tre ore di film: meditazione silenziosa sull’ineffabile in cui le ripetute litanie dei monaci di Grenoble non fanno, ovviamente, l’effetto di un’interruzione, né le riprese del regista tedesco, ammesso, cinepresa in spalla, alla Grande Chartreuse, fanno l’effetto di una violazione. Ugualmente azzardato e dirompente era il proposito della manifestazione bergamasca. Che, se ardisce tentare il Sacro per via di Contaminazioni contemporanee, lo fa con tutti gli strumenti che la contemporaneità più all’avanguardia sa offrire. Epoca tecnologica e chiassosa? O invece ultrasofisticata ed espressivamente strepitosa, se i protagonisti del festival odierno - l’estone Arvo Pärt e l’armeno Tigran Mansurian, i coristi dello Hilliard Ensemble (formidabili interpreti di polifonie antiche o dei canoni novecenteschi) e gli strumentisti Anja Lechner e Vassilis Tsabropoulos (rinnovati esecutori degli inni di Gurdjieff) - sono, dal primo all’ultimo, figli del proprio tempo. Tutti da anni si confrontano attraverso la ricerca musicale più osé con il tema arcaico del sacro che, inossidabile, resiste al trascorrere del tempo e, invincibile, resiste a profanatorie contaminazioni. A cominciare da Pärt, di cui lo Hilliard ha eseguito venerdì le ultime composizioni: quel Lamentate cioè (Ecm 1930) che, racconta l’autore, scioglie dalla visione di una statua di Marsia un’assorta riflessione sulle età. A Marsia, il satiro musico che osò sfidare la lira del dio Apollo col suono del suo flauto, il musico di Tallin molto assomiglia: basta guardare il suo ritratto - testa ieratica, occhi cocenti, barba spavalda - negli scatti di Roberto Masotti esposti a Bergamo al Museo Bernareggi. Basta ascoltare la sua preghiera che, nel dialogo piano-orchestra conduce la dialettica disfida tra le antifone gregoriane tradizionali e le forme sperimentali più recenti. Per proseguire con Gurdjieff, il mago del Caucaso, lo stregone mistico che rapì Katherine Mansfield a Château du Prieuré, sedusse il Keith Jarett interprete dei Sacred Hymns (Ecm 1174) e ultimamente ha conquistato il duo Lechner-Tsabropoulos (in scena oggi alle 18 nella Basilica di Santa Maria Maggiore).

E per finire con Mansurian, il poetico compositore d’Armenia che ai componimenti del poeta Yeghishe Charents ha dedicato i dieci brani (Ars Poetica, Ecm 1865) registrati nel monastero di Saghmosavank, eseguiti in prima europea stasera (ore 21 al Donizetti) e chiusi sulle armonie di And Silence Discends: eco lunga e ben sonora dei silenzi tarkovskijani evocati da Couturier.

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