Vissani severo «Non copiamo gli spagnoli»

Vissani severo «Non copiamo gli spagnoli»

Gianfranco Vissani, letta l’apertura di Affari di Gola di domenica scorsa, nella quale scrivevo che «vorrà pur dire qualcosa se un Adrià potrebbe riempire un banchettificio pranzo e cena mentre un Vissani oscilla tra il vuoto e il quasi vuoto», mi ha telefonato per chiarire il suo pensiero che volontieri riporto. Ha detto il cuoco umbro, titolare a Baschi di un due stelle che porta il suo nome: «Non è vero che non sono pieno, tutt’altro: grazie a dio lavoro bene e sono contento e posso permettermi di avere 33 dipendenti a libro paga, quanti altri possono dire altrettanto in Italia?». Poi la stoccata: «Io faccio cucina di territorio, territorio Italia, cucina vera non quelle sciocchezze di liofilizzati: a me piace spezzare il pane e gustarlo, mangiare una fetta di salame o di mortadella e sentirne il profumo. Io faccio la cucina che dà soddisfazione a me e, toccando ferro, vedo che piace anche ai miei clienti in un momento economico che è quello che è. Chiamo dalla Francia e sabato scorso, 28 gennaio, ero da Ducasse a Montecarlo e i tavoli erano mezzi vuoti, il momento è questo. Sono contento così e non inseguo le guide e i voti, tanto che quest'anno, dopo aver rifatto il locale, con tutti che mi dicevano che la Michelin mi avrebbe dato la terza stella, io pensavo che me ne avrebbe tolta una perché non faccio il circo come Adrià che è una persona bellissima ma che come cuoco, cuoco poi? boh, fa delle cose che non vanno bene per l'Italia». Uno sguardo al futuro: «Sono contento della mia carriera: io vengo dalla gavetta, non sono uno chef che si è costruito con le chiacchiere e le bischerate. Chi viene a mangiare da me trova vera cucina italiana, a quali prezzi? Cento euro il menù regionale, 240 quello creativo, ma per masticare roba vera. E se un giorno dovessi chiudere, non avrei problemi ad andare a lavorare in un grande albergo, pagato e riverito.

La tivù? Ci vado non per i capricci di qualcuno, ma perché Vissani fa audience e se mi pagano è per questo, per gli indici di ascolto. Signori miei: i giornalisti sono bravi quando vendono tante copie, chi va in tivù deve invece attirare gente davanti allo schermo e io ci riesco ed è per questo che giro in mondo, per raccontarlo attraverso la Rai».

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