Lorenzo Alessandri nasce a Torino, città malinconica, e magica, e anche metafisica, città nella quale impazzì Nietzsche e De Chirico rispecchiò il suo pensiero nei lunghi viali che sembrano non avere fine. La sua mente resta impressionata da un mago esotico pur entro la religione cristiana, Padre Pio, incrociato nell'adolescenza, tra miracoli sperati ed esorcismi. Urge in lui il desiderio di esprimersi, di dare forma a demoni e fantasmi con il disegno e la pittura.
I suoi inizi sono verso il 1940. Già prima della guerra Alessandri concentra le energie nell'ideale rifugio di una «soffitta macabra» con amici strani e inquieti, pieni di speranze e di illusioni: «Passavamo le notti in discussioni interminabili sull'anarchia, sulle pene capitali e in diatribe sull'esistenza dell'anima. Facevamo ricerche disordinate sullo yoga, sul buddhismo e sullo zen. Ci occupavamo maldestramente di psicoanalisi. Tenevamo sedute spiritiche e ogni tanto invitavamo qualche gesuita o domenicano o qualche famoso libero pensatore a cercare di mettere un po' di ordine nelle nostre discussioni. Altre volte evocavamo i defunti e le forze occulte». Quest'esperienza si riversa in dipinti, sempre più allucinati e visionari. Ma è nel 1951 che si consolida la viva coscienza di essere artista, nell'incontro con Silvano Gilardi detto Abacuc, che sarebbe stato il suo più grande amico. Abacuc è vivo, la testa immersa nella luminosa natura di montagne sulle quali lo spirito dell'uomo si innalza. Gilardi è figlio d'arte, conosce il mestiere e lo trasmette ad Alessandri che è carico di pensieri e di ossessioni. Sono anni difficili. Chi vuole dipingere si arrocca in un destino di solitudine e di isolamento, mentre l'affermazione dell'astrattismo e delle neoavanguardie dilaga come una moda e, presto, un'abitudine. Per resistere Alessandri promuove come un guerriero gruppi, riunisce artisti, vuole tenere aperte le porte del sogno.
È nel 1961, quando ormai il processo è irreversibile e l'avanguardia trova il suo centro nella tragica Merda d'artista di Manzoni (duplicato concettuale dell'Orinatoio di Duchamp), che Alessandri fonda il movimento Surfanta con amici curiosi e bizzarri: Abacuc, Lamberto Camerini, Colombotto Rosso, Giovanni Macciotta e Mario Molinari, una colonna indipendente del grande movimento surrealista in Europa che aveva le sue propaggini anche in Italia. Alessandri è ostinato, ci racconta questi anni dal 1941 fino alla morte, avvenuta nel 2000, in un diario, Zorobabel (Skira), colto e ricco di riflessioni e anche di testi poetici, che resterà un documento tra i più notevoli della seconda metà del secolo scorso, a perenne denuncia dell'arroganza e della presunzione con le quali alcuni hanno preteso di scrivere la storia dell'arte contemporanea, cancellando scientificamente esperienze artistiche straordinarie. È giusto riabilitarle ora, mentre ad Artissima festeggiano l'Arte povera, che interessa solo mercanti ricchi.
Già nel 1943, in uno sfogo nichilistico, Alessandri aveva prefigurato il suo destino: «Sono così stufo di questa vita che, se dovessi morire questa notte, sarei contento. Odio questa vita stupida e insulsa, fatta soltanto di illusioni e di dispiaceri, di mete irraggiungibili, di speranze che non si avverano e che non si sono mai avverate. (...) Maledetta vita, quando finirai?». Parole che sembrano scritte da un poeta romantico e che indicano un disagio che, anche in età matura, non troverà soluzioni se non nella consolazione della pittura. Il diario è una miniera di pensieri tristi e veri. Alessandri si consolerà con l'illusione di trovare rifugio nella filosofia yoga, nel pensiero buddhista: «Nella pace e nell'equilibrio che il buddhismo propone, io vedo la soluzione limpida e riposante di tutti gli insolubili problemi e dubbi che assillano il cervello umano». Però poi concilia Buddha con Cristo: «Nel Vangelo di Cristo trovo il Dio, il Padre primo, il creatore eterno e magnifico, il padrone dei disegni imperscrutabili che diventa uomo e mi dà la mano».
La visita alla sua collezione era un esilarante repertorio degli elementi di una scenografia dentro la quale vivere e dipingere: «Questi sono strumenti d'esorcismo africano: maschere nigeriane. Quest'oggetto è verniciato con sangue umano, sangue delle vittime uccise, fegato e testicoli spappolati. Queste sono cose tibetane: il femore di una vergine di sedici anni, e questa è pelle umana conciata; suonano evocando la fanciulla per poterla pregare. Questo è il femore di un bandito ucciso in peccato mortale, suonandolo si evocano i demoni». Il percorso della casa è un'avventura, un viaggio in un mondo parallelo e interiore.
Alessandri è un uomo vissuto altrove. E forse, ora che è altrove, non è morto, e il suo spirito vive nella devota e ostinata studiosa, Concetta Leto, che nella mente luminosa conserva la casa che ora non c'è più, santuario del pensiero multiforme di Alessandri. Nel suo mondo si capiva che l'arte era la necessaria, inevitabile, estensione visiva del pensiero, ben chiarito in una lettera all'amico Abacuc del 1998, dichiarazione di poetica e testamento pittorico: «L'avvento del brutto, che ha amareggiato la nostra giovinezza e intristito le nostre visite ai musei, ha esaltato dei cani intellettuali e impotenti, arricchendone molti di fama e di danaro, ci ha appena sfiorati, ma non ci ha mai vinti. Io me ne sono sempre fregato degli astrattisti, dei concettuali e odio con tutto il cuore e con tutto il cervello quei truffatori che fanno le installazioni, che inscatolano la loro propria merda, quelli che espongono tubi al neon accesi e mongoloidi vivi a spese degli stati e dei musei». Ecco la migliore celebrazione dell'Arte povera. Sempre lucido e sorprendente, Alessandri vuole riflettere sull'origine del male, e conclude: «Non me ne importa niente che il futuro non ci sia più. Sono felice del presente».
Non si può che desiderare di vedere il lunghissimo sogno di Alessandri illustrato in dipinti bellissimi e misteriosi, perché pieni di mistero e perché ingiustamente nascosti. Essi mandano una luce interiore che non ha fine con la vita perché la vita, nell'arte, non finisce. E Alessandri è vivo e parla con noi.
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