Serialità

"La vita bugiarda degli adulti" anni '90? È molto vintage

Arriva su Netflix la serie tratta dal romanzo della Ferrante. E gioca tra inganno e rimpianto

"La vita bugiarda degli adulti" anni '90? È molto vintage

Si trasforma in immagini un altro dei romanzi della misteriosa - identificare chi si nasconda sotto questo nom de plume è uno dei giochi preferiti del mondo editoriale - Elena Ferrante. La vita bugiarda degli adulti, romanzo del 2019 uscito per i tipi di e/o, si trasforma nella omonima nuova serie, in 6 puntate prodotta da Fandango che debutterà su Netflix il 4 gennaio 2023, non solo in Italia ma in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo. Il che conferma, come per la serie Rai tratta da L'amica geniale, che i prodotti made in Ferrante sono ormai uno dei modi in cui l'Italia vende la propria immagine all'estero. Il romanzo, a cui le due puntate della serie Netflix, mostrate ieri in anteprima alla stampa, aderiscono molto bene, è per certi versi meno noto, meno saga, e più adulto, narrativamente parlando, del ciclo dell'Amica geniale. Quindi, per certi versi più adatto a un pubblico Netflix, meno generalista e tendenzialmente young adult. Il risultato è una narrazione intensa, resa un po' più rock e glamour per piacere alla Generazione Z, e tradisce il romanzo soltanto in alcuni passaggi mirati (vedremo quali) e ruota attorno a una Valeria Golino piroclastica che aderisce perfettamente al personaggio incendiario di Zia Vittoria.

Ma partiamo dalla trama, perché se L'amica geniale, a giudicare dalle vendite, è entrato in ogni casa, qui un po' più di sorpresa per il pubblico potrebbe esserci, anche parlando di un best seller. Al centro della narrazione c'è Giovanna, un'adolescente degli anni '90 alla ricerca della propria identità. Capelli corti, occhi di fuoco e aspetto grunge (pensato per agganciare il pubblico giovane), a quindici anni detona. Cresciuta al Vomero, Napoli bene, inizia a scalpitare contro la scuola e la sua famiglia con pretese radical chic. I suoi non la prendono bene e salta fuori una frase detta dal padre: «Sta facendo la faccia di Vittoria». Insomma sta diventando brutta e cattiva come l'innominabile zia con cui la famiglia Trada non parla da anni. Giovanna lo sente e decide di andare a caccia della zia per trovarsi uno specchio e impatta sulle passioni che per essere vere rischiano di essere sporche, indigeribili a chi vuol fingersi buono, di sinistra ma col portafoglio molto a destra. Un percorso di formazione e uno scontro generazionale, ma soprattutto un viaggio nell'inganno e nell'auto inganno (nella serie alla fine mentono tutti). E nel rendere questi passaggi va detto che l'esordiente Giordana Marengo, che interpreta Giovanna, è stata bravissima, sfruttando anche la sua somiglianza fisica con la Golino. Le scene in cui recitano a distanza ravvicinata sono un vortice visivo.

Ne esce un racconto della Napoli anni '90 che da un lato riprende in modo sistematico le battute del romanzo e dall'altro svicola per inserire tratti di narrazione che occhieggiano ai giovanissimi, dal mondo dei centri sociali di allora alla break dance. Tutto funziona, anche se a tratti la descrizione della Napoli povera ma «figa» diventa un po' oleografica. I cavalli bianchi di passaggio sotto il cavalcavia degradato possono far sorridere... Mentre il racconto della scalata rampante e pieno delle falsità del padre di Giovanna è forse la parte più riuscita (Alessandro Preziosi è da manuale nel rendere un personaggio di ambiguità sottilissima). Quindi chi arriverà alla serie dal romanzo di Ferrante (che ha lavorato alla sceneggiatura via lettera con il regista Edoardo De Angelis) potrebbe avere la sensazione di perdere alcuni dettagli, tra cui l'oscuro sboccio delle passioni, delle pre adolescenti come Giovanna e le sue amiche. Tutto qui è spostato oltre la soglia dell'adolescenza, anche per scelta registica di «pudore» ci ha spiegato De Angelis (a ragione, perché un conto è leggere, un altro vedere).

Però la narrazione mantiene molto e aggiunge anche un versante vintage che fa rivivere un'epoca, a partire dalla musica, forse più di quanto facesse il romanzo. Catturerà almeno un paio di generazioni, chi c'era e chi trova che una audiocassetta sia pezzo da museo. Però la furbizia narrativa è accompagnata da buon senso e misura. Come ha spiegato lo sceneggiatore Francesco Piccolo, «leggendo il romanzo te lo devi ricordare che si è negli anni '90, in una serie si deve vedere». Si vede a colpi di dettagli precisissimi e anche con qualche pennellata di politica (nel romanzo era sotto traccia e forse...).

Per fortuna la carnalità di Golino e lo spaesamento carica di tensione della Marengo (ma tutto il cast è di livello) sporca di vita, nelle prime puntate, anche ciò che poteva ridursi a carrellata vintage o manifesto.

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