Una vita da collezionista La principessa si racconta

Inusuale incontro al Poldi Pezzoli nell’ambito della mostra «Capolavori da scoprire»

Una  vita da collezionista La principessa si racconta

Non capita tutti i giorni di incontrare una Principessa. Non sai neanche bene come aspettartela, eppure quando ascolti Bona Borromeo Arese è facile immaginare quegli occhi vivaci, sempre pronti a cercare con affetto in mezzo agli altri il «consorte», come lo chiama lei, accendersi della scintilla che anima lo sguardo del collezionista quando scopre qualcosa. Allora non è nemmeno più difficile pensarla, lei così elegante e allo stesso tempo dissacrante, in una delle soffitte dei Palazzi di famiglia, alla ricerca di un quadro dimenticato. Così in occasione della mostra «Capolavori da scoprire - La collezione Borromeo» la Principessa si racconta. Ma dato che la sua vita è sempre stata strettamente legata al collezionismo, la sua non può essere che una storia che ne contiene tante altre. Come quella di un quadro che si fece un viaggio su una cassetta delle verdure, di una collezione di bambole, e di qualche pezzo favorito, come il «Ritratto di dama», e il «Ritratto d'uomo» di Boltraffio, «Con i loro occhi dolcissimi e le loro cornici modeste», come commenta la Principessa. Non mancano colpi di scena, come quello che vide protagonista un Desco da parto raffigurante una nascita e un putto seduto. «Durante il restauro, si capì che il putto era un maschio. Qualcuno particolarmente pudico in passato aveva nascosto questo particolare, e il restauratore lo scoprì». C'è perfino un piccolo «giallo». Quello di un pezzo in cristallo sottratto da un uomo che lo restituì anni dopo, senza che nessuno si fosse accorto della sua scomparsa. L'amore della Principessa Bona Borromeo Arese per il collezionismo è nato anche grazie al suocero Vitaliano Borromeo. «Un uomo che aveva una passione indescrivibile per il restauro, da quello delle opere d'arte a quello dei sottotetti dell'Isola Bella che facevano acqua». Mentre ricorda, la Principessa, nella sua giacca marrone con i profili in raso sorride spesso. «Alla fine degli anni ’60, in una delle soffitte, trovai un bellissimo quadro di Magnasco, in cui erano ritratti dei Lanzichenecchi. Mi piacque immediatamente. Così convinsi mio suocero, che era un po' titubante, a farlo restaurare. Si scoprì poi che era una tela di valore, e io finii per non averlo. Così ho perso il “mio” quadro». Ricorda. Lei che non ama essere definita una storica dell'arte, è una collezionista moderna e in prima linea, una conservatrice forte per intuito e determinazione, uniti a ricerca e studio, e ad uno spiccato senso civico. «I collezionisti, alla fine dei conti, giocano. Come ho fatto io quando ho recuperato i mobili dal Palazzo di Cesano Maderno per l'Isola Madre, per ricostruire le sembianze della casa nel 700. Ho giocato, e ora chi visita questo luogo lo può vedere con le sue suppellettili, perché ogni cosa ha trovato un suo posto». Così lei, che non ama parlare troppo di Federico Borromeo «un uomo molto controverso, che ha fatto cose stupende», e di San Carlo Borromeo, «che ha fatto nella vita molte più cose di quante una persona che muore poco dopo i 40 anni riesce normalmente a fare» racconta dei documenti e del materiale relativo a questi due eccezionali personaggi, con un interesse da studiosa, ma restituendone un ritratto anche molto umano, ricordando «una lettera di San Carlo che giovinetto a Pavia, scriveva alla famiglia chiedendo un giubbetto nuovo», o l'epistolario di Federico Borromeo sulla Monaca di Monza.

Qualche giorno fa gran parte della famiglia si è radunata ed è nata l’idea «di dare vita ad una Wunderkammer, una stanza delle meraviglie, raccogliendo gli oggetti più strani in possesso dei Borromeo». Ma il desiderio di condividere con il pubblico i propri tesori artistici è anche un invito ai milanesi, perché «rilancino la città mostrandone il carattere con orgoglio cittadino».

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