Controcultura

Vitali resuscita Testori. In quello sguardo azzurro c'è il miracolo dell'arte

Bastano gli occhi penetranti per svelare l'anima e l'umanità del ritratto. Merito di un pittore anti-convenzionale

Vitali resuscita Testori. In quello sguardo azzurro c'è il miracolo dell'arte

Ho la sensazione che, benché lontano dagli occhi di tutti, Giancarlo Vitali sia l'ultimo pittore.

Non ne mancano certo, tra quelli che non hanno voltato le spalle all'Accademia e hanno rigenerato l'idea di una tradizione figurativa che, attraverso vari manierismi, riproduce il vero, riprendendo gli abiti usati del magazzino della memoria, da Lino Frongia a Claudio Sacchi, da Stefano di Stasio a Roberto Ferri, da Bruno d'Arcevia ad Agostino Arrivabene, tutti virtuosi e commemorativi, in un rimpianto senza fine della grande pittura, perfino Velasco, il figlio di Giancarlo.

Ma in tutti loro, e in molti altri, prevale un procedimento intellettuale che assume inevitabilmente un significato programmatico contro quanti, per decenni, hanno considerato e voluto morta la pittura. Lo dichiara esplicitamente, nei suoi dipinti accuratissimi, Maurizio Bottoni. Ma Giancarlo Vitali è un'altra storia, diversa anche da quella di Willy Varlin, di Bacon ovviamente, di López García, di Lucien Freud, tutti consapevoli del trauma attraversato dalla pittura del secolo che abbiamo alle spalle.

Vitali non sembra essersene accorto: egli riprende il pennello da dove l'avevano lasciato non Morandi o Donghi, o De Pisis, ma Mancini e Boldini. Come dire: ignorando le avanguardie e anche il ritorno all'ordine, il Novecento della Sarfatti, la nuova figurazione. Quella, per dire, pur sensibilissima, di un suo coetaneo come Gianfranco Ferroni, non di ripetitivi e ripetenti citazionisti.

Vitali, semplicemente, dipinge. Con istinto, velocità, intuizione. Non si possono dimenticare le sue nature morte, i suoi animali, persino più immediati di quelli del penultimo pittore più vicino a lui: Chaim Soutine. Ma anche Soutine non è citato; è digerito, assimilato, rigenerato per impulso, istinto, necessità di pittura. Siamo ora ad ammirarne alcuni impressionanti ritratti monotematici: quelli dell'amico, e amato, Giovanni Testori. Più fortunato di me, anche Testori ha avuto innumerevoli ritratti; ma non poco riusciti, fuori da tagli celebrativi o convenzionali o, peggio, fotografici.

Testori era il suo sguardo infinitamente azzurro; e nessuno, forse neppure il simillimo Varlin, lo ha colto con tanta efficacia e potenza. Mentre Testori ti trapassa con gli occhi, Vitali trapassa Testori, infilzandolo al suo amo per coglierne l'umanità profonda, e la dolcezza, e lo spirito. Infine, l'anima. Quale altro è il fine di un pittore se non cogliere e rappresentare l'anima del suo ritrattato? Mancini, pur su base fotografica, più di Boldini, ci riuscì. Vitali ci riesce ancora, e Testori è vivo davanti a noi, parlante, penetrante.

La pittura di Vitali non è mai illustrativa, e neppure descrittiva. Egli opera uno scavo per scoprire cosa c'è dentro un uomo. E, ancor più difficile, cosa c'è dentro un uomo come Testori. E lo fa emergere fino all'impudicizia, mostrandolo più nudo che se lo avesse spogliato, come fece Christian Schad con il corpo apollineo (o da San Sebastiano) dell'amatissimo (da Testori) Alain Toubas. Leggiamo tutto negli occhi del Testori di Vitali, leggiamo anche quello che non vogliamo sapere; e non rimpiangiamo di non averlo visto in limine mortis, patito, smagrito, sofferente; perché egli è nella sua pienezza di vita, che rivive, davanti a noi, negli studi, nei disegni, negli acquerelli, nei pastelli, nei colori eruttanti, sanguinolenti, e pur sempre preziosi, di Vitali. Testori è vivo; e la pittura supera la forma per farsi carne, spirito, parola.

Giancarlo Vitali non è un pittore contemporaneo, è un pittore vivente che continua a dipingere, come un fiume continua a scorrere, e uno scrittore continua a scrivere.

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